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Quando facevo il "contagiri" di Mario Poltronieri

Quando facevo il "contagiri" di Mario Poltronieri

Scrivere anche poche righe in ricordo di Mario Poltronieri, la popolare voce della Televisione italiana in Formula 1, spentosi due giorni fa, è per me doppiamente doloroso, perché amico e perché quasi perfettamente coetaneo. Mi chiamava sempre accanto a sè, in cabina, ad ogni gran premio, un po' per discutere di tecnica, essendo stato lui stesso un grande conoscitore e pregevole pilota, ma, nel subcosciente, perché aveva il terrore delle interruzioni di cronometraggio: i mezzi di allora in Tv non erano quelli odierni e bisognava procedere a vista e a memoria. A quell'epoca, facevo il cosiddetto contagiri, che consisteva nel tracciare su un foglio delle righe, una per ogni giro della gara, e scrivergli sopra il numero del pilota, secondo la sua posizione, con tempi e distacchi.

Capite benissimo che era un prezioso strumento di precisione, retaggio di epoche ancor più remote. Addirittura, una volta, alla 24 Ore di Le Mans, andò in crisi proprio il cronometraggio e la direzione di gara assunse il contagiri del mio maestro, Giovanni Canestrini, per le classifiche ufficiali. Mario conosceva l'importanza del contagiri e si sentiva protetto con quella documentazione a portata di mano. Aveva una venerazione per la professione e non sopportava l'idea di inconvenienti durante la diretta.

Era un perfezionista, come lo fu da giovane pilota, tanto da essere chiamato dal grande Carlo Abarth al ruolo di guida ufficiale, con funzioni di collaudatore. Ma era nato per comunicare, per raccontare e trasmettere emozioni. Ha sopportato duri e lunghi anni di tirocinio alla Rai, prima di essere promosso a pieni voti. Conosceva alla perfezione le sue risorse, conscio che sarebbe arrivato a un successo duraturo, fino all'età della pensione. Pensate che una volta ha fatto anche la telecronaca della 500 Miglia di Indianapolis; e subito ha chiamato accanto a lui un americano, Alfonso Thiele, che fu anch'egli pilota Abarth di successo. Una telecronaca perfetta e apprezzatissima, che gli aprì definitivamente le porte, quando c'erano altri telecronisti in lizza. Il suo segreto era quello di usare un linguaggio semplice, ben comprensibile a tutti gli ascoltatori.

E solo allora capii che aveva ragione lui, la volta in cui gli offersi, in accordo con la mia direzione, di venire con me alla Gazzetta dello Sport, quand'ero responsabile dei motori; rifiutò, perché si sentiva nato per la parola, per la telecronaca, che l'ha portato ai vertici della notorietà.

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