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Quei ragazzini terribili del Manchester United del '92

Beckham, Giggs, Scholes, Butt e i fratelli Neville: un gruppetto di ragazzini terribili che fece le fortune di Ferguson

La Class of '92 al completo
La Class of '92 al completo

Il manager ha modi spicci, forse perché proviene dalla Scozia più dura e profonda. Ha mandato a chiamare i ragazzini, chiedendo che si impegnino al massimo perché il suo Manchester United deve prepararsi scrupolosamente per il prossimo incontro. Il 1992 deve essere un anno di riscatto, del resto. Il clangore dei cancelli del centro sportivo li annuncia, mentre la prima squadra ridacchia in mezzo al campo. Gary Pallister, Paul Ince, Mark Hughes e tutti gli altri sanno di poter ridurre in brandelli quando vogliono quel manipolo di pivelli.

Così eccoli sfilare sul campo. Uno ha il caschetto biondo, un viso buono per la prossima copertina di Men’s Health e, si mormora, un destro telecomandato. Si chiama David Beckham. Poi c’è lo smilzo gallese: di nome fa Ryan Giggs ed è un fuscello inafferrabile. Arriva anche Nicky Butt, il viso tappezzato di lentiggini, una nuvola di capelli rossi ad incorniciare l’espressione perennemente corrucciata, da duro dei sobborghi che cerca di nascondere un filo di tentennamento. Poi è la volta di di Gary Neville - più tardi lo raggiungerà anche il fratello, Phil - uno che si atteggia già con movenze da veterano. Infine ecco il più improbabile della comitiva, un ragazzino dall’aria cianotica, vittima di ricorrenti attacchi asmatici. “Troppo esile per giocare a calcio”, ciarla qualche sprovveduto addetto ai lavori. Di lui, molti anni più tardi, Zinedine Zidane parlerà così: “Come ci si sente ad essere il più grande centrocampista al mondo? Non lo so, chiedete a Paul Scholes.

Così si gioca. Sistemato a bordo campo, la sagoma dell’Old Trafford a lavorarsi il panorama sullo sfondo, Alex Ferguson è ancora convinto di assistere ad una partitella dove i grandi saranno sì costretti a muovere il fondoschiena, ma domineranno con soverchiante scioltezza. Nulla di più inesatto. Quando il coach di Giggsy e compagni, Eric Harrison, raggiunge Fergie sulla linea laterale del campetto dell’Academy, lo trova trasecolato. Quei poppanti stanno umiliando la prima squadra. Neville è un treno. Butt una muraglia. Beckham e Scholes tessono trame indecifrabili. Finisce 4-2. I titolari escono mesti e perplessi. Adesso a ridacchiare sono quelli piccoli.

Uscendo dal campo Ferguson strattona Harrison: “Perché non mi hai detto prima che erano già pronti? Voglio questo, quello e quello. Come? Certo che li voglio subito!”. Perché la Class of ’92 in fondo funziona un po’ come uno di quegli amori a prima vista: ti basta osservarla una volta per sapere che andrà bene. Con questi ragazzi terribili il Manchester United premerà in bacheca - tra le molte cose - anche un allucinante treble nel 1999: campionato, FA Cup e Champions League. Lo Spice Boy, il bulletto d’acciaio, i gemelli che sfrecciano come purosangue, il Mago Gallese, The Silent Hero. Troppa manna venuta giù tutta insieme. Contemplando le macerie ancora fumanti dell’attuale United, oggi anche soltanto un grammo di quel carisma, una stilla di quel talento, basterebbero a rilanciare le ambizioni di un club che - dopo la dipartita di Ferguson - fatica a riconoscere il suo riflesso. Intanto la Stretford End rumoreggia, mentre assiste inerte a campagne acquisti faraonicamente inconcludenti.

Certo, di classi come quella del ’92 probabilmente ne nasce una ogni secolo. Fosse così, i mancuniani uniti dovrebbero attendere ancora per un bel pezzo. La speranza è che le nuove generazioni crescano meglio e più in fretta delle precedenti.

Magari per osmosi, inalando il miracoloso distillato lasciato su quei campi da chi seppe issarsi in cima al mondo.

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