Sport

"Rabbia, nausea e magia. Così ho vinto il Gp d'Italia"

Dovizioso ricorda la tormentata vigilia del 2017 e la gara che l'ha consacrato: "E non volevo partire..."

"Rabbia, nausea e magia. Così ho vinto il Gp d'Italia"

Pubblichiamo per gentile concessione dell'editore, uno stralcio di "Asfalto" (Mondadori, pagg 221, euro 18), la biografia di Andrea Dovizioso

Il Mondiale che doveva andare meglio di tutti è iniziato da cane, e non è solo una questione di punti in classifica. Al ritorno dalla Francia, un test al Mugello conferma le mie pessime sensazioni: siamo fermi, anzi andiamo praticamente all'indietro. (..) È il punto più basso della mia storia con la Ducati. Chiedo un incontro con Dall'Igna e il mercoledì parto da casa per Borgo Panigale sulla via del Mugello. Sono carico a pallettoni, pronto a discutere, a farla fuori: a dire ciao, se serve. Voglio spiegazioni e sono così incazzato che penso che se mi licenzia amen, va bene lo stesso, tanto così non si può più andare avanti. Perché non è solo che la moto non volta in curva come vorrei, ma anche che non si lavora nel modo giusto. Capisco non riuscirci, non capisco non provarci. Probabilmente è perché non ci credono. Non mi credono. E i miei principi mi dicono che non posso più tollerarlo. Il meeting va molto male. I chiarimenti tecnici non arrivano. Gigi è un abile affabulatore, sa smorzare le polemiche, mi tappa la bocca su altre rivendicazioni.

La situazione precipita, ci si irrigidisce, piombiamo in uno stallo: nessuno cambierà mai le sue posizioni, siamo due muri, il punto d'incontro non esiste. Allora mi fermo, inutile continuare, tanto so che non ascolterò mai le parole di cui avrei bisogno, una cosa tipo: ok, Andrea, proviamo a fare come vuoi tu per una volta, magari hai ragione Sì, come no. La porta dell'ufficio di Gigi si chiude. Esco completamente giù, scazzatissimo. Mentre guido verso il Mugello penso disperato all'anno e mezzo che ho davanti. Se resto è anche per rispetto verso quelli che lavorano in azienda. (...) In pista il venerdì vado normale, ma è logico. Cioè, tante volte partiamo per il weekend con delle aspettative e dopo non si combina nulla. Poi il sabato nel turno 4 cresciamo, ci troviamo in linea con i più forti guidando pure bene. «Ma non ci facciamo illusioni, eh?» dico a Francesco rientrando nel mio ufficio. In fondo sono tre anni che ci giochiamo la vittoria al Mugello. Qui si viaggia sempre bene. Non è qui che può cambiare una filosofia sbagliata. «Va be', Andre, te pensa a fare la prima fila, che poi ne riparliamo». E io faccio la prima fila, terzo dietro Viñales e Rossi. Non male. Nelle interviste mi scappa un «mi sono piaciuto».

Un giornalista dice: «Un evento più raro di una cometa». Si riferisce al mio commento, non alla prima fila. Mi viene da ridere: non posso dargli torto. Considerando le premesse del mercoledì mi sembra tutto incredibile. Gli amici venuti a trovarmi sono contenti e cominciano a prefigurare scenari di gloria. Si scherza, ci si prende in giro, chiudiamo fuori il mondo per un attimo con la nostra complicità. Poi, come ogni sabato del Mugello, andiamo fuori a mangiare al solito ristorante di Scarperia. È una tradizione, e anche un mezzo obbligo (...) Viene fuori una bella serata. È la notte che è un inferno. Poco dopo essermi addormentato mi sveglio infatti con una nausea bestiale e vomito l'anima. (...) All'alba rimane una sola soluzione: la Clinica Mobile. () Alla Clinica una dottoressa mi fa un'iniezione e mi dà due consigli sul pranzo: passo lì una mezz'ora prima di andare al camion dove teoricamente dovrei cambiarmi per il warm up. Il warm up? Correre? La moto? Cos'è una moto? Non ho fatto colazione, sono senza forza, senza lucidità, senza niente. Francesco mi dà qualche sale per reintegrarmi, ma la morale della situazione è chiara: «Come cazzo faccio a correre in queste condizioni». (..)

La gara è lunga, prevedo di vomitare almeno un paio di volte. Quando risalgo in sella, Francesco mi porge il casco, lo indosso e mentre lui mi dà i guanti prima di andarsene lo chiamo vicino. Nell'orecchio, sottovoce, gli dico: «Franci, non ce la posso fare». «Scusa?» «Non ce la faccio. Non ho energie. Non arrivo in fondo. Oh, è il Mugello!» Lui fa una faccia strana. Poi quasi si tuffa dentro il casco perché senta bene la sua sentenza: «Andre, a parte che non ci credo, comunque le energie se non ce le hai nel corpo le hai nella testa». E mi dà un piccolo pugno sulla tempia destra, dove sul casco c'è dipinto il cavallo nero. Tra me penso: «Sì vabbè». Ci guardiamo senza sorridere, tiro giù la visiera e resto solo. Semaforo, gas e sto normale. Normale? Strano. Di solito quando inizia la gara hai un boost della madonna nel petto, un'energia pazzesca, una specie di choc. Quello è il momento più importante e tu ti senti un fiore, al massimo di tutto, corpo e mente fusi in una cosa sola. Oggi niente di tutto questo. Sono normale. Né troppo su né troppo giù. Normale, clamorosamente normale. Mai successo. (...) La moto reagisce bene, il ritmo più basso del previsto mi aiuta e io mi sistemo nella posizione ideale per osservare gli altri alzare polvere. (...)

Valentino e Lorenzo fanno casino tra loro: perfetto, non è un problema mio, li sfilerò appena sbagliano. Ma, a un certo punto, il gelo. Succede in fondo al rettilineo, quando si scollina a 300 all'ora e si passa il dosso da cui si imposta la San Donato. Lorenzo l'ho passato all'esterno da un bel po' ed è scivolato dietro; davanti a me, attaccati, ci sono Rossi e Viñales. Io ci arrivo come al solito, ma più all'esterno, dove il dislivello dell'asfalto è differente. Che c'era un rischio lo sapevo; che fosse così no. La moto, senza neanche mandarmi prima un whatsapp, va in turbolenza, scoda, è un toro da rodeo che deve aver visto in tribuna uno che gli stava sulle palle, e pure vestito di rosso. È una scossa pazzesca. La gamba sinistra molla la pedana, il culo salta sulla sella ed è un riflesso condizionato corretto perché così alleggerisco il carico e permetto alle sospensioni di fare il loro lavoro. Per un attimo ho la chiara percezione che sto per essere sparato sulla collina. Da lì guarderò la gara, cercherò il numero 04 in pista e non lo troverò: il solito Dovi, ha fallito anche stavolta. «È finita» mi dico, ma intanto reagisco, resto aggrappato alla moto con tutta la forza che ho nelle braccia e alla fine, senza un perché logico, tengo la barra dritta. Sono più animale io di te, penso, e in un attimo mi ritrovo in traiettoria come se non fosse accaduto niente. (...)

Sorpasso Rossi dopo un bel duello di un paio di giri e mi piazzo dietro Viñales.

Sono dove dovrei essere e dove dovrei restare per un po', non fosse che a un certo punto esco dall'ultima curva più veloce del solito e mi trovo nel rettilineo che sto per sorpassarlo. Porca puttana No! Non voglio farlo! No, dai! E invece quasi per inerzia mi ritrovo primo

Commenti