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Diavolo troppo pavone. La terza forza è il Genoa

Rossoneri celebrati per una vittoria in 6 partite. Inzaghi sbaglia le mosse. Antonelli lancia Gasp

Diavolo troppo pavone. La terza forza è il Genoa

Con le ali di cera non si vola. Anzi, c'è il rischio concreto di sfracellarsi al suolo, come toccò al mitologico Icaro. Così è capitato al Milan, ingolosito ancor prima di cominciare, dal pareggio domestico del Napoli con l'Empoli. Alle viste del terzo posto, invece di spiccare il volo verso una posizione di classifica degna del glorioso marchio di fabbrica, ecco la caduta rovinosa a testimonianza solenne di una fragilità complessiva del gruppo preparato da Inzaghi oltre che di una povertà allarmante di risultati. Negli ultimi sette turni, la contabilità è da libri in tribunale se si dovesse tener conto della missione societaria "ritorno in Champions league": 1 solo successo, 4 pareggi e 2 sconfitte, una più rovinosa dell'altra. Perciò dal teorico terzo posto, alla fine del pomeriggio vissuto a Genova, il Milan è scivolato pericolosamente verso il settimo. Con le ali di cera non si vola ma anche con eccesso di zucchero nel sangue (le lodi sperticate ricevute dopo il 2 a 0 sulla modesta Udinese di una settimana prima), si può correre il rischio dal dottore. Perché è bastato che proprio Menez, l'eroe della sfida coi friulani, sbagliasse il tiro del possibile vantaggio, per far precipitare il Milan in un pozzo nero di errori, amnesie e inadempienze di cui è complicato tenere il conto. Cinque minuti dopo quello sfondone (il francesino ha rubato palla a Kucka, si è presentato davanti a Perin graziato con un tiro potente ma centralissimo), la difesa rossonera ha subito il sigillo di Antonelli con le modalità di sempre. Come? Elementare, signori: da calcio piazzato, da calcio d'angolo nella circostanza. All'ennesima esecuzione, con palla a mezz'altezza, arrivata nel cuore dell'area, in molti sono riusciti a saltare senza sfiorare il cuoio, è arrivato invece Antonelli, che è un terzino, e avvitandosi ha deviato di testa sul palo interno. Un altro difensore goleader, come Antonini contro la Juve: è dalla gendarmeria di Gasperini che sono arrivate quest'anno le maggiori soddisfazioni per il vecchio, caro Grifone. Il Genoa, in verità, ha sfiorato anche il colpo del ko (udite udite: Bonera ha salvato sulla linea) prima di rifugiarsi nella sua metà campo per custodire gelosamente quel tesoro di vantaggio.

È a quel punto che il Milan ha mostrato tutti i suoi limiti, tutti i suoi difetti e anche tutta l'insicurezza della guida tecnica. A Pippo Inzaghi devono essere attribuite le seguenti censure: 1) ha schierato, dall'inizio, due centrocampisti, Montolivo e De Jong reduci da un lungo periodo di inattività; 2) quando s'è trattato di apparecchiare il primo cambio, in quel settore, ha chiamato in causa Poli che è uno frenetico e impreciso invece del più diligente Van Ginkel; 3) dopo l'attacco febbrile dei giorni scorsi che gli ha impedito di allenarsi giovedì e venerdì, Honda era da tenere al calduccio in panchina. Altro appunto, emerso nella ripresa, comandata nel possesso palla ma senza riuscire ad allestire uno straccio di occasione da gol (solo Bonaventura sulla sirena ha sparacchiato in curva): squadra sfilacciata, lenta, macchinosa e fisicamente poco in salute così da consentire al Genoa, senza grandi sforzi durante la ripresa, di mettere in cassaforte tre punti preziosi che possono tornare utilissimi per il futuro. Già, perché non ha destato una grande impressione il calcio espresso dal Genoa, come accadde proprio contro la Juve, allorquando fu salvato dalle prodezze di Perin. Segno che per ora sta viaggiando a cento all'ora grazie al cinismo e a qualche prodezza dei suoi difensori. Sconfortante la prova di Matri, doveva dimostrare d'essere un rimorso dei milanisti rimasti a secco e invece ha meritato uno zero in condotta. Dev'essere la presenza delle maglie milaniste a renderlo inoffensivo. Quella di ieri è la terza sconfitta collezionata dal Milan in 14 giornate (la prima fuori casa, ultimo precedente maggio di quest'anno a Bergamo con Seedorf allenatore): troppe per non lasciare il segno ma anche per giustificare la nostalgia dell'olandese.

E per non capire, lezione fondamentale, che con le ali di cera è impossibile volare.

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