Brasile 2014

Riforme, cerotti e volti nuovi per non rifare l'Italia a brandelli

Ct: Allegri favorito per i soldi, Mancini è un selezionatore, gli altri... Figc: Tavecchio chiede tempo ad Abete. L'allarme: "Si fatica poco"

Riforme, cerotti e volti nuovi per non rifare l'Italia a brandelli

Siamo finiti con un'Italia a brandelli che fa rima con Prandelli. Vista l'esperienza, sarebbe importante non ricascarci: per le abitudini del calcio italiano impresa quasi impossibile. Basta veder gli schieramenti che già si fronteggiano in attesa di eleggere un presidente federale che dovrebbe dare una mano a riformare il calcio e magari lo incerotterà soltanto. Così pure per il tecnico, che dovrebbe costituire la prima pietra della rifondazione. Se partiamo dal curriculum resta solo Ancelotti, peccato guadagni troppo e sia inarrivabile. Se guardiamo alla credibilità, e alla capacità di scegliere e veder giocatori (leggi selezionare), Mancini è un uomo da pole. Se, invece, il pensiero va al risparmio economico il pasticcione Allegri può aver vita facile. Anche perchè l'alternativa porterebbe a un allenatore federale: Cabrini, ct del calcio femminile, gode di sponsorizzazioni, per ora omaggio alla memoria del grande calciatore. In ricordo della tradizione dei Valcareggi, Bearzot, Vicini, Maldini, molto più credibile Chicco Evani, uno del Milan di Sacchi, attualmente selezionatore dell'under 20. Il coro del calcio nostalgico chiede il Roberto Baggio appena patentato. Ma non esageriamo.
Poi ci vorrebbero giocatori che valgano una maglia azzurra, non solo per questioni di cuore e comportamento come piace ai santoni dello spogliatoio, ma soprattutto per valore tecnico: e qui la scelta è misera, le speranze pallide. Chi propone Guidolin pensa ad un maestro per i giovani, peccato che il suddetto non regga lo stress tipico del lavoro con la nazionale. E, per ora, i giovani da nazionale sono proprio pochi: ci vorranno tempo e pazienza.
Però da queste tre pietre ben posate, e meglio pensate, si potrà ripartire per evitare i brandelli d'Italia. Che altro? Evitare alibi, in questo mondiale se ne sono sentiti a caterva: dal timore della calura ai danni del ritiro più o meno monacale. Magari trovare preparatori più adeguati. Ieri il presidente dei preparatori italiani, Stefano Fiorini, ha analizzato le fatiche dei colleghi in nazionale definendole “buon lavoro che non ha dato i frutti sperati”. E qui bisognerebbe spiegare perché? Un buon lavoro non ti fa ritrovare fra le mani giocatori che, dopo una partita, hanno speso tutto e non riescono a recuperare. Il professor Castellacci ha indicato l'accusa nelle sue analisi: «Noi abbiamo fatto il massimo dal punto di vista medico, poi tocca agli altri». Sottinteso: preparatori e tecnico. Invece il presidente dei preparatori punta il dito sulle pecche del calcio italiano: «Siamo passati da una esasperazione del lavoro fisico degli anni '90 ad una regressione: oggi si pensa solo a tattica e didattica. Molto meno a impegno fisico e abitudine alla fatica».
Una volta ristrutturata l'idea di preparazione atletica, andrà ristrutturato anche il campionato. Il torneo a 20 squadre è il festival del calcio mediocrità: tecnica e spettacolare. Meglio tornare a 16 squadre, anche se la proposta più votata si ferma a 18. Facile dire: valorizzare i vivai. Ma servono soldi contanti e sonanti che i nostri presidenti sono disposti a spendere solo per calciatori che buttino fumo negli occhi agli spettatori. Il grido d'allarme di Albertini («Spendiamo meglio») fa riferimento ai danari buttati per stranieri di scarso valore: il calcio ne perde, i portafogli anche.
In tutto questo la nazionale dovrà far tornare ciascuno al proprio posto: lo scaricabarile su Balotelli è stato un lancio di freccette giustificato da Prandelli, ma non giustificabile. A ciascuno la sua colpa. Balo colpevolissimo per comportamenti e incapacità calcistica, gli altri a ruota: non così lontani. E qui ci vorrà un presidente federale che metta in campo carisma e credibilità per evitare repliche. Gli elettori non vogliono mettersi fretta. Da qui la richiesta, strategica, di Carlo Tavecchio, presidente della lega dilettanti e maggior candidato: Abete non formalizzi le dimissioni e resti in carica fin quando non sarà pronta la lista dei pretendenti. «É impensabile un'assemblea elettiva per l'11 agosto, prima dovremo avviare procedure e candidature». Insomma Abete dovrebbe fare l'ultimo favore a tutti. Ma il personaggio non è incline a passi indietro, seppur per servizio. Poi ciascuno giocherà le carte: Tavecchio in pole, magari in ticket con Abodi (presidente della lega di serie B) direttore generale, è una delle tante idee. La sua richiesta di rinvio dipende anche dalla difficoltà a radunare in tempo utile le 21 assemblee regionali dei dilettanti. Poi c'è la strategia. Rinvio osteggiato da Ulivieri, presidente degli allenatori, e da altre componenti. Demetrio Albertini ha perso terreno. Il Coni sta pensando a un personaggio non necessariamente politico: un manager già testato nelle multinazionali.
Per essere eletti bisogna venire candidati da due grandi elettori, poi raccogliere il 50,05 per cento dei voti. Difficile che il mondo del calcio accetti presenze esterne al suo circolo parrocchiale. Personaggio carismatico in libera uscita è Massimo Moratti, già presidente di federazione (motonautica) e la cui minoranza azionaria nell'Inter non inciderebbe sulla candidabilità. Idea spuntata per sparigliare i nomi e creare la sorpresa. Di certo non sarà eletto un presidente che abbia necessità di stipendio. Dunque per i rampanti (Michele Uva gettonato) al massimo si prospetta un posto da direttore generale.

C'è la virtù e c'è la necessità.

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