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Ritorna l'urlo della Rossa C'è una squadra dietro Vettel

Dopo 2 anni, una vittoria diversa da quelle di Schumi e Alonso Grande pilota ma grande macchina, vero trionfo di scuderia

Ritorna l'urlo della Rossa C'è una squadra dietro Vettel

Porca Eva! Che macchina. E che storia. Un romanzo, il romanzo ferrarista. «Ferrari is back» è l'urlo liberatorio via radio, è il titolo. C'è tutto. Uomini trombati e uomini resuscitati, uomini che parevano bolliti e in crisi di carriera che tornano e rimettono in sesto la vita loro e altrui. Vedi Vettel, talento che sembrava perso e sperso che ora vince alla grande davanti a Hamilton e Rosberg sbigottiti. Veloce in qualifica, incredibile in gara, trionfo 40 per lui. Seb che addirittura doppia il proprio passato, entrambe le Red Bull, perché altrimenti non sarebbe romanzo. Vettel che non vuole essere paragonato a Schumi perché troppo grande e però dice «da bambino lo guardavo qui sul podio e sulla Ferrari e ora ci sono io su quella macchina, incredibile». Seb che ammette «l'anno scorso non è stato un buon anno per me, la macchina era buona ma non riuscivo a dare il massimo questa invece mi calza a pennello e la missione è il mondiale perché io ho firmato per riportarlo a Maranello e la macchina ha un potenziale enorme». Vettel occhi lucidi, voce a singhiozzo così diversa da quella che via radio urla «ohh yessss, mi sentite? Grazie grazie grazie ragazzi, dai...». Romanzo ferrarista perché l'inno torna a suonare dopo quasi due anni dall'ultimo sigillo firmato Alonso, Barcellona, una vita fa. E perché l'inno tedesco prima di quello italiano non lo ascoltavamo dal 2006, Cina, un altro germanico, un grande germanico sul gradino più alto a dirigere l'orchestra: Michael Schumacher.

Porca Eva, gran macchina! Eva come il soprannome dato da Seb alla SF15-T, Eva come l'inizio di tutto, Eva come il peccato, la sensualità, la ribellione. Un nome che sa di cambiamento perché stavolta non sentiremo il ritornello esterofilo di una Ferrari tornata alla vittoria solo grazie all'impresa di Seb oggi come di Alonso ieri o Schumacher l'altro ieri quando venne celebrato, era il 1996, quasi avesse corso senza macchina. No, stavolta, nonostante ci sia un quattro volte campione del mondo alla guida, è la monoposto Rossa über alles che umilia gli über alles con al volante un über alles . Romanzo anche questo e la riprova arriva da Raikkonen sfortunato, distratto, tamponato, ultimo, eppure alla fine quarto.

Macchina però dai molti padri, la SF15T. Da Stefano Domenicali che ci mise mano subito, nel febbraio 2014, dopo aver capito che motoristi e telaisti avevano pasticciato, e lo fece dando più potere al direttore tecnico James Allison che aveva fortemente voluto, a Marco Mattiacci che proseguì in questo completando il corteggiamento a Vettel e potenziando la leadership di Allison. Ma è anche e ovviamente la macchina dell'ultimo gran capo, Maurizio Arrivabene, intuizione del neo presidente Marchionne, uomo di marketing tabaccaio messo al muretto per far fumare di rabbia rivali e presuntuosi über alles . Perché è un romanzo ferrarista anche il suo modo di comandare, molte carote qua e là ai ragazzi del team e qualche bastonata ben assestata a motivare animi e scongiurare errori. Senza far distinzione, bastone pure per i piloti se sbagliano, vedi il «distratto» Raikkonen come l'ha definito sabato. Ieri, però, giustamente, carote per tutti. Per Seb «incredibile», per gli uomini Ferrari «perché questa macchina ha 1300 padri e ora piedi in terra e testa bassa», per Kimi che «ha fatto una gran rimonta», per Marchionne perché «lui è veramente uno di noi». Romanzo ferrarista e romanzo italiano, visto che sì, Vettel è tedesco, sì Allison è un ingegnere aeronautico inglese, però Mattia Binotto capo dei motori e Simone Resta capo telaio sono nostrani e veraci e sono anche la scommessa sulle seconde linee che fa tornare in mente un credo di Marchionne: «Se cambi i capi, liberi le seconde linee e aiuti a sviluppare idee e a far crescere l'azienda».

Porca Eva! Forse non l'ha detto, certamente l'ha pensato. Perché nel romanzo ferrarista c'è per forza anche e soprattutto lui: Fernando Alonso. Praticamente ultimo al via, praticamente inesistente in gara e poi ritirato, quasi che il destino e il romanzo volessero tormentarlo e offrirgli l'occasione di assistere da fuori al trionfo della macchina che lui per ultimo aveva portato al successo e poi ha ripudiato. E fa tenerezza Fernando come quando, sudato in viso e avvolto nei suoi misteri, dice «però abbiamo un grosso potenziale». Non fanno invece tenerezza, ma rendono l'esatta misura dell'impresa ferrarista, le parole di Lewis Hamilton, il cattivo del romanzo tradito dalla strategia Mercedes che ammette «oggi ho dato tutto ma erano troppo veloci per noi, complimenti».

Sì, complimenti, bel romanzo.

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