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Rodriguez, che rivincita Italbici, 5 anni di disastri

Rodriguez, che rivincita Italbici, 5 anni di disastri

nostro inviato a Lecco

Ma sì, evitiamoci la fatica di inventare cose astruse per il solo gusto della novità. Sforzo inutile. Per chiudere la stagione 2013 del ciclismo basta il copiaincolla del finale 2012: tutto uguale, dalla prima all'ultima virgola. Come allora, il Giro di Lombardia obbliga tutti a un interminabile purgatorio su e giù per monti e per laghi, strada facendo ci lascia pezzi molto pregiati causa cadute o cedimenti (prima Scarponi, poi Nibali, quindi Gilbert e Contador), infine spadella il grandioso bis: scatto di Rodriguez a dieci chilometri dal traguardo, sul Villa Vergano, proprio nel medesimo punto, e via ancora da solo verso la vittoria. Nel suo bis c'è anche il sottobis parziale di una domenica fa, di quel campionato mondiale che ancora gli brucia come un'ulcera: anche qui alle sue spalle c'è Valverde, che con fare da lenone a Firenze l'aveva amabilmente tradito, lasciandogli arrivare alle spalle il portoghese Da Costa. Stavolta però Valverde non riesce a rovinargli la vita. In un certo senso, il Lombardia ha proprio questa, di vera novità: dopo una dannata settimana a sentirsi dare del Fantozzi e dell'eterno perdente, Rodriguez mette tutti in ginocchio e chiude l'annata da grande signore. Casualmente, alla platea torna di colpo la memoria e tutti ricordano che da tre anni è il numero uno delle classifiche mondiali. Alle volte, le coincidenze. «Per una settimana ho pensato solo alla rivincita - racconta il popolare Purito - e il Lombardia non mi ha tradito. La mia vera impresa? Non è facile vincere quando sei favorito e tutti sanno dove attaccherai: ci sono riuscito, sono felice, ringrazio l'Italia e do appuntamento al prossimo Giro».
A proposito di Italia: il nostro finale non è solo la fotocopia del 2012, ma anche del 2011, del 2010 e del 2009. Con la sconfitta di Lecco chiudiamo il cerchio del quinquennio nero: al Lombardia avevamo vinto l'ultima volta una grande classica (Cunego, 2008), al Lombardia facciamo cifra tonda. Un lustro completo a digiuno, una crisi epocale. Stavolta, stante la maledetta caduta di Nibali, dovremmo consolarci con il quinto posto di Gasparotto: chiaro, non è vita. In un certo senso, la chiusura rappresenta la sublime metafora della nostra congiuntura: se ci tolgono di mezzo Nibali, il ciclismo italiano sparisce. Se la madre degli imbecilli è sempre gravida, la madre dei campioni ha buttato via lo stampo. Che ci resta? Ci resta il famoso know-how, questo made in Italy tecnico e organizzativo che distribuisce nelle squadre di tutto il mondo direttori sportivi, meccanici, cultura, metodi. Facciamo ancora scuola: il problema è che gli altri hanno strutture e tanti soldi, noi abbiamo le pezze al sedere. Ciclisticamente parlando, siamo diventati un dolente popolo di emigranti.
Mestizia per mestizia, oggi ci si ritroverà tutti a Milano per presentare il Giro 2014, del quale peraltro si sa già tutto (partenza a Belfast, sfida finale sullo Zoncolan, arrivo a Trieste). Purtroppo, stavolta non sarà la solita festa. Lo scandalo dei 13-15 milioni spariti dalle casse di Rcs Sport, società organizzatrice, graverà inevitabilmente sul galà. Decapitati i vertici con provvedimento di sospensione (out Catano, Acquarone e Pastore), il nuovo corso cercherà di recitare una gaia serenità. A Lecco, il direttore tecnico Mauro Vegni ha già spiegato che in fondo non è successo nulla, che è tutto tranquillo, che certa stampa dovrebbe smetterla di fare stupido allarmismo. Viva il Giro, allora. Non è successo niente.

Però Vegni avverta il suo datore di lavoro, che ha già emesso due comunicati ufficiali per denunciare maneggi e sparizioni. O in Rcs è normale che spariscano allegramente milioni di euro?

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