Brasile 2014

Se anche il Maracanã tradisce il Paese

Disuguaglianze aumentate, record di omicidi, polizia in crisi. E nello stadio simbolo ricchi e turisti. Fuori il popolo

Se anche il Maracanã tradisce il Paese

San Paolo - «Brasile, il paese del futuro».
Per diversi anni è stata questa la sintesi dei rapporti stilati dai più illustri istituti di statistica Internazionale. Nell'immaginario comune c'era un Paese in forte espansione economica, dotato di risorse e capitali consistenti, pronto a superare il gap storico-culturale che lo ha sempre distinto dai vicini americani doc e dai cugini europei. E in effetti per circa un decennio il Brasile ha rappresentato davvero il futuro possibile, l'alternativa allo stallo economico che ha coinvolto buona parte del mondo. La classe media è cresciuta a dismisura accogliendo più di 30 milioni di nuovi arrivati.
La Coppa del Mondo avrebbe dovuto stimolare ulteriormente questo processo di espansione. Ma non è andata proprio così. Il Paese dei balocchi non esiste, ha scoperto i suoi punti deboli un anno fa durante la Confederation Cup e continua ad esibirli anche oggi, a poche ore dal calcio d'inizio dei Mondiali.

Le disuguaglianze sociali sono ancora tanto, troppo evidenti. Le manifestazioni più o meno pacifiche che da un anno paralizzano le grandi città come San Paolo e Rio de Janeiro mostrano non solo un paese insoddisfatto e poco compatto, ma soprattutto disorganizzato. La gente in piazza chiede meno Coppa e più istruzione, salute, case e condizioni di lavoro dignitose. Una delle ultime proteste ha letteralmente paralizzato il traffico di San Paolo per 6 ore creando una coda di 211 km. In piazza scendono i professori perché hanno un salario ridicolo e le strutture in cui insegnano cadono a pezzi o sembrano latrine; gli autisti di autobus perché prendono una miseria e vengono assaliti e rapinati un giorno si e l'altro pure da banditi armati; protesta la gente in favela che senza alcun preavviso è costretta a trasferirsi in periferia per consentire il "ripulisti" imposto dal governo; protestano gli índios perché vorrebbero tornare ad occupare i territori dei loro predecessori; protestano gli studenti che da mesi non vanno a scuola perché i professori sono in sciopero.

Protestano tutti, insomma. E il Brasile si ferma. Perché non è preparato a gestire questo caos. D'altronde le forze dell'ordine in questa parte di mondo sono perlopiù impegnate a monitorare favelas e criminali, anziché proteste di piazza. «Non ci aspettavamo questa partecipazione in strada» ci dice uno dei responsabili della polizia militare della città. «Dalla Confederation Cup ad oggi è stato difficile gestire le proteste. Non siamo abbastanza».
Ecco, i poliziotti non sono abbastanza. Adesso lo sa bene anche il Presidente Dilma Roussef che per decidere di rafforzare la sicurezza ha aspettato che centinaia di manifestanti circondassero il pullmann della nazionale brasiliana urlando slogan contro la Fifa. Dilma ha promesso che durante i Mondiali la situazione cambierà, che la gente smetterà di protestare e che il Brasile si mostrerà un Paese all'altezza di un grande evento. E questo nonostante lo stadio Arena Corinthias, palco di apertura del Mondiale, non abbia superato l'ultimo evento test di sicurezza. 2 settimane fa, poi, il Presidente ha dichiarato pubblicamente che gli aeroporti del Brasile funzionano alla perfezione e sono pronti ad accogliere milioni di turisti. Il giorno dopo è crollata una parte del tetto dell'aeroporto di Manaus a causa della pioggia.
Però secondo Dilma funziona tutto. D'altronde la partita più importante la gioca lei che punta alla rielezione. Certo è che l'evidenza non si può negare e qualunque sia l'esito di questa Coppa il Brasile ha già perso in efficienza. E civiltà. Il paese ha segnato il record di omicidi, circa 55mila, dal 2013 ad oggi. Secondo l'organizzazione Social Progress Imperative il Brasile occupa l'11° posto (su 132) nella lista dei paesi più insicuri al mondo. È vero che la classe media è cresciuta parecchio, ma la classe più umile è rimasta dov'è, in favela, e probabilmente ci resterà a lungo. Per loro a cambiare sono stati solo i prezzi. Dei trasporti pubblici e del cibo. Persino il calcio, lo sport per cui questo Paese vive e sorride ancora, è diventato inaccessibile. Il Maracanà, un tempo stadio del popolo, oggi non è più lo stesso. Il prezzo dei biglietti è alto, l'80% dei tifosi brasiliani non può permetterselo. Lo stadio di Rio De Janeiro è diventato un salotto. Persino nelle partite di campionato nazionale appare semivuoto: i cori delle curve si sentono appena, la passione di questo popolo resta fuori dai cancelli.

Dilma sa che in fondo per la Coppa del Mondo ci penseranno i turisti e i tifosi stranieri ad occupare gli oltre 73mila posti a sedere. Il Mondo intero vedrà il Maracanà esattamente come è giusto che lo veda: dall'interno, pieno, pulsante. Il popolo resterà fuori.

Se a manifestare o a tifare ancora è tutto da vedere.

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