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Se il futuro del calcio italiano adesso dipende dalla Lega Pro

La riforma dei campionati di calcio italiani, che porterebbe le società professionistiche da cento a sessanta, è pronta. Ma la Serie C del presidente Ghirelli frena: perché?

Se il futuro del calcio italiano adesso dipende dalla Lega Pro

Una Serie A a venti squadre, due gironi di Serie B per quaranta società e tre di Serie C a venti club semi-professionistici ciascuno. È questa la riforma del calcio italiano sul tavolo del consiglio federale della Figc. Una riforma che rivoluzionerebbe il mondo del pallone tricolore, che agevolerebbe sia il campionato cadetto sia la annaspante Lega Pro, ma allo stesso tempo una riforma che fa discutere, che non piace a tutte le società della galassia C e che fa storcere il naso allo stesso presidente della Lega Pro Francesco Ghirelli.

Spieghiamo. Il mondo del calcio italiano è fermo da mesi causa coronavirus e chissà quando e chissà come il pallone tornerà a rotolare sull’erba e chissà quando e come i tifosi torneranno sugli spalti a sgolarsi per i propri colori. Nel mentre, il progetto che ridisegnerebbe i campionati di calcio nostrani ha preso forma per un semplice motivo: da anni, come noto, la Serie C rappresenta un problema per l’intero movimento. E sempre da anni, non a caso, si studia il modo migliore per rilanciare la categoria.

Le difficoltà della Lega Pro, attualmente a tre gironi (A, B, C) nascono dal momento che la categoria è professionistica (a differenza della Lega Nazionale Dilettanti), ma non ha diritti televisivi, ha pochissimi introiti e tante spese per onorare i contratti dei propri tesserati (problema che non esiste per la Lnd, dal momento che le società di D hanno oneri assai inferiori e possono riconoscere anche solo un rimborso e non uno stipendio ai propri calciatori). Succede quindi che, da tempo, la C è in perdita – annualmente in rosso di 120 milioni l’anno, circa due milioni a squadra il saldo negativo – e subisce spesso e volentieri fallimenti societari che vedono dipendenti e giocatori a pagarne lo scotto. La Lega Pro, insomma, rappresenta un modello insostenibile, che non giova né all’intera categoria né all’intero sistema calcio. Da qui, appunto, la necessità di ripensarla e rifondarla, in toto.

L’idea è quella di declassare (e detassare) la Serie C, retrocedendola al dilettantismo o meglio a tre gironi da 20 quadre semi-professionistiche: in questo modo i costi per gli ingaggi si abbatterebbero (del 50%) e si eviterebbe così, di rimbalzo, la raffica di fallimenti che si registra ogni anno. Allo stesso tempo, raddoppiare la B – promuovendo nel campionato cadetto le prime 6/7 degli attuali tre gironi di C – permette una cosa importantissima: darle più valore (e soldi) a livello di diritti tv, una cui parte (maggiore) andrebbe appunto alla nuova Serie B.

Bene, la palla – è proprio il caso di dirlo – è nelle mani o meglio nei piedi del consiglio federale della Figc. Come noto, il peso politico e numerico della Lnd (34% del totale dei voti) e della stessa Lega Pro (17%) – visto il grosso numero di società rappresentate, assai maggiore rispetto alla A e alla B – la fa da padrone. Non è mistero, ecco, l’importanza del ruolo e il potere in mano alla C e soprattutto alla D. Per fare un esempio, l’ex presidente della Ficg Carlo Tavecchio è stato per 15 anni il numero uno della Ldn (dal 1999 al 2014). Ciò significa essere un bravo presidente dei dilettanti è un buon trampolino di lancio per diventare il presidente della Figc, visto il numero di delegati e voti di cui si può beneficiare.

La riforma, però, non fila liscio come l’olio. Perché? Lo scenario della Lega Pro in sala dilettantistica o semi-professionistica non piacere al presidente Ghirelli, molto vicino all’attuale presidente della Ficg Antonio Gravina (lui e Ghirelli condividono infatti l’esperienza comune nel mondo della C), perché andrebbe in sostanza a perdere la poltrona alla presidenza della Lega Pro.

La data "x", cerchiata di rosso sul calendario, è quella di mercoledì 3 giugno, quando a Roma si terrà il consiglio federale della Figc, che voterà la proposta. La riforma del calcio italiano è comunque in mano ai 60 presidenti, che stanno valutando i pro e i contro del cambio di look: nei prossimi giorni, con una serie di interviste, vi racconteremo su ilGiornale.it che cosa ne pensano.

Se 31 di loro fossero d’accordo, il consiglio direttivo della C darebbe il proprio benestare alla riforma, invisa e contraria però al volere del proprio presidente (che è però già parzialmente sfiduciato). Il futuro del calcio italiano, insomma, è nelle mani della Lega Pro.

Paradossale.

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