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"Senza O Rei il mondo del calcio sarà più povero e triste"

Suo compagno di squadra nel Brasile: "Con lui avrei potuto vincere altri due Mondiali"

Un giovanissimo Pelè
Un giovanissimo Pelè

Erano i due bambini prodigio del Brasile, diversissimi e complementari, amici e rivali, l'uno l'altra faccia dell'altro, le due stelle bambine del Brasile che conquistò nel 1958 il Mondiale di Svezia. Altafini e Pelé si incrociarono la prima volta il 6 marzo 1958: José fece due gol, Pelé uno ma il Santos di quello che sarebbe diventato «O Rei» sconfisse il Palmeiras 7-6. Mai banali, sempre unici.

Altafini, ha saputo?

«Per me è un dolore tremendo. Sono anni di tristezza e dispiacere: ci ha lasciato Maradona, ci ha lasciato Paolo Rossi. Adesso Pelé. Sapevo che era malato, ma non sei mai preparato. É terribile».

Immaginava questo finale di partita?

«Sinceramente no. Non ho mai creduto che uno come lui si ammalasse. Era un atleta perfetto, un professore di educazione fisica, fisicamente era fortissimo. Però...»

Però?

«Però è vero che lui ha giocato moltissimo, molto più di tutti gli altri. Quando viaggiava per il mondo in tournée con il Santos, che doveva fare cassa, giocava anche due partite nella stessa giornata. Di certo la sua carriera è stata più usurante di quanto si creda. Un logorio pazzesco».

Lei si arrabbiò con Pelé per il film che la raccontava come un ragazzo ricco viziato e arrogante...

«È vero. In realtà noi non abbiamo mai giocato insieme da bambini, non vivevamo nella stessa città e sua mamma non ha mai lavorato da me come donna di servizio perché io ero povero come lui. Le pare che avessi bisogno di una cameriera quando avevo una sola camicia da mettermi? Però ha scelto come attore per interpretarmi un ragazzo bellissimo come Diego Boneta......».

Nel film si capisce che Altafini era per Pelé un rivale ma anche un modello.

«Non c'è mai stata rivalità tra me e lui, se non in campo, ma vinceva sempre lui. Se io facevo un gol lui ne faceva due, se io ne facevo due, lui tre. Non c'era partita».

Quando vi siete conosciuti?

«A San Paolo, alla prima convocazione in Nazionale: lui aveva 17 anni, io 19. Anche se era più piccolo di me sembrava più grande. Io ero più ragazzino di lui».

Vi sentivate?

«Ci vedevamo ogni tanto, soprattutto a qualche evento dove ci invitavano. Con Pepe, Zito, Clodoaldo avevo un rapporto, con Pelé meno».

Com'era come uomo?

«Ha avuto una vita sentimentale turbolenta, si è sposato tre volte, nemmeno lui sapeva quanti figli aveva, ma era un uomo che al di là del sorriso eterno aveva anche sofferto molto, per la morte della figlia Sandra, uccisa dal cancro nel 2006, e per il carcere inflitto al figlio Edinho».

È stato il più forte di tutti i tempi?

«Non c'è Maradona che tenga. Lui sfiorava la perfezione. Destro e sinistro al cento per cento, testa, velocità, dribbling, acrobazia. Ha fatto 1225 gol, ha vinto tre mondiali. Diego è stato un grandissimo ma nessuno è stato come Pelé».

Peccato non aver continuato a giocare insieme nel Brasile.

«Purtroppo negli anni Cinquanta e Sessanta in Nazionale non chiamavano i giocatori brasiliani. Altrimenti con lui ne avrei vinti almeno altri due».

Come sarà adesso il mondo senza Pelé?

«Io ho vissuto un dolore atroce quando è morto Garrincha e quando è morto Ayrton Senna. La vita perde anche i suoi uomini migliori.

Ma senza Pelé e la gioia del calcio e per la vita che portava sarà un mondo più povero e più triste».

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