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Socrates a Firenze, un dottore senza ricetta

Una parentesi imbevuta di politica, birra, sigarette e qualche guizzo: il brasiliano non si adattò mai al calcio italiano

Socrates alla Fiorentina: un flirt mai sbocciato
Socrates alla Fiorentina: un flirt mai sbocciato

Quando disfa il borsone estrae tutto in ordine cronologico. Prima lima la cartina intingendola nella saliva, quindi inizia a lavorarsi il tabacco. Poi è il turno del libro: accavalla quelle gambe da fenicottero sulla panca di legno consunto e si mette a sfogliarlo. È infilato dentro allo spogliatoio delle giovanili del Botafogo, da solo. Non perché sia in anticipo, come si potrebbe pensare di un professionista esemplare. No: lui ha elevato il ritardo e la lentezza dei gesti a mantra scrupoloso. Gli scarpini vengono rinvenuti solo da ultimo, frugando sul fondo. Serve una sequela di grida che fende la sua quiete per trascinarlo via: “Socrates! Socrates! Sono già tutti in campo”.

Quell’indolenza è un lusso accessibile: il talento che arma il suo piede destro è un flusso che scorre divampante da un encefalo intricato. Perché giocare bene a calcio significa anzitutto pensare bene. Lui ha tutti i collegamenti giusti tatuati internamente. Deve soltanto applicarli. Vede le cose con un paio d’istanti d’anticipo sugli altri. Ma non solo nel calcio. Lì ce l’ha trascinato suo padre: un tizio con la seconda elementare che ha maturato una singolare parafilia per i classici greci. I suoi fratelli, per dire, si chiamano Sostenes e Sofocles. Ribeirão Preto è il posto dove Raimundo Brasileiro Sampaio, impiegato pubblico, ha strappato una dignitosa scrivania. Questa attitudine allo studio, mista a certe stille congenite di curiosità, abita la casa in cui vivono trasmettendosi per osmosi.

Socrates si iscrive alla facoltà di medicina e inizia ad interessarsi di politica. La convivenza con il calcio diventa presto un incastro di difficile gestione. La sua non è insolenza: semplicemente gli manca il tempo per inseguire adeguatamente ogni suo flirt. Così un giorno piomba al campo d’allenamento ed emette la sua sentenza: “Ascoltate, da qui in avanti verrò soltanto alle partite”. Nasi che si arricciano. Mugugni in sottofondo. La materia non è tuttavia contendibile: nessuno può privarsi del suo ingegno calcistico.

È un fatto noto che il nostro si laurei in medicina, per poi conseguire pure la specializzazione in pediatria. Un dottore che addomestica le traiettorie più recalcitranti, distribuendo metaforiche compresse al cianuro ai suoi avversari. Sovrastante fisicamente, chirurgico nei passaggi, letale sotto porta. La sua dominanza pallonara è un booster che lo imprime nella costellazione dei più forti e si esprime, probabilmente, nel gesto tecnico per eccellenza: il colpo di tacco. Giunto al Corinthians, altra notizia acquisita, instaura una conduzione "democratica" nello spogliatoio che assurge a manifesto politico, in aperta collisione con la classe che ha paludato il Brasile. Da mezz’ala scintillante gioca i mondiali del 1982 e ci segna anche contro, in quell’epico 3-2.

Il flirt che non sbocciò

Quel che resta merlettato di mistero, invece, è il motivo sostanziale sul quale poggia il suo fallimento fiorentino. Tito Corsi tesse una trama acuta, sottotraccia: lo porta in riva all’Arno che è la stagione 84/85. La stampa è stizzita perché lo scopre d’un tratto. La tifoseria gigliata invece gongola e si sfrega i polpastrelli. La viola culla sogni europei. Non sanno, gli appassionati, che quella rimarrà una suggestione destinata a svanire dopo i primi tocchi.

Appena giunto in ritiro, sulle Dolomiti, rimpiange il tepore brasiliano. Dopo la prima sessione d’allenamento arranca penosamente, sconfitto da ritmi non contemplabili dalle sue parti. Nel frattempo però vive la città, dice di essere arrivato per leggere Gramsci e si perde tra i dedali dei sollazzi. In campo segnerebbe anche, ma l'approccio è caracollante. Il movimento lento. Le geometrie compassate. Alla prima apparizione si fa borseggiare un pallone sanguinoso e spedisce in porta gli avversari. “Sarà un caso”, fanno gli scongiuri dalla Fiesole. “Diamogli tempo per adattarsi”, ciarlano altri dalla Maratona. Nulla di tutto questo.

Infilzato dai suoi molteplici interessi, Socrates non riesce a correre dietro ad ogni impegno. E nella sua vita si aprono fenditure. Va in cerca di mistadelli per sottrarsi all’inverno italiano: sono il più delle volte locali in cui si beve bene, si fuma molto e si balla tanto. I ritmi della serie A, per quanto al rallenty rispetto ad oggi, sono impostati su una marcia superiore a quella che conosce. Viene da San Paolo, dove i suoi vizi sono rarefatti dentro ad una masnada di milioni di persone, mentre Firenze non offre vetri appannati. Un mix di sintomi che sfociano in malessere acuto.

Bisognerebbe essere cerusici dei sentimenti per contrastarli.

A fine stagione, medico sfornito della ricetta giusta, torna mestamente in patria. Certo, ha distribuito qualche guizzo da fuoriclasse, ma non è bastato.

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