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La solitudine di Buffon, prigioniero dell'incubo con le grandi orecchie

Per il portiere una notte iniziata scherzando e finita piangendo: ha perso l'ultimo treno?

di Tony Damascelli

Mai scherzare con il fuoco. Da ragazzi forse, ma a trentanove anni si paga il conto. Entrando in campo, Buffon aveva sbirciato le maglie viola degli spagnoli: «giochiamo contro la Fiorentina», aveva borbottato. La battuta gli è costata cara, dopo venti minuti il solito Cristiano, di viola vestito, lo ha mandato a coricare con un colpo da biliardo.

Quando l'acrobata Mandzukic si è inventato la magica cilena Gigi ha creduto che l'incubo fosse finito, si è tarantolato, correndo verso la curva. Il gol di Casemiro lo ha ricacciato all'inferno. Un tiro velenoso, Gigi ci ha messo del suo, in ritardo evidente. Cristiano ha ribadito qualche attimo dopo, ancora Buffon con la catena corta, esco, non esco, e allora è finito tutto. Ormai solo e solitario come il ruolo impone. La solitudine dei numeri 1. «I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell'infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri». Paolo Giordano, scrivendo il suo libro, non pensava certo a Gianluigi Buffon, eppure quelle parole sembrano la didascalia di ventidue anni di carriera, nella prigione segnata da tre pali, una rete e il resto del mondo dirimpetto, pronto a metterlo in ginocchio oppure ad esaltarlo. Una vita da portiere.

Gigi Buffon ha avuto avversari in campo e nemici fuori. Sfide leali e manovre occulte, duelli aperti e pugnalate vigliacche: gli hanno dato dello scommettitore, fascistello, patacca. Ha spalato via il fango, ha costruito una carriera maestosa, ha ricostruito la sua vita privata, ha combattuto, affrontato e superato i giorni della depressione. Il viaggio della vita trova, per tutti, improvvisi venti contrari, la separazione, quindi il recupero di un altro amore, il buio angosciante, la luce abbagliante. Buffon ha aperto le braccia per coprire la propria esistenza, difendendo anche quella, come una partita che non finisce mai.

Il ragazzo del boia chi molla non ha mollato mai, davvero. Mai ha provocato, mai ha deriso, mai ha offeso. È diventato il fratello maggiore di tutti, nella Juventus, come in nazionale. Parla ascoltandosi, intervallando le parole e i pensieri, con un leggero colpo di tosse, appena accennato, quasi per darsi il tono dell'uomo maturo che riflette, insegna, ammonisce. Come deve essere un capo, anzi il capo, il capitano. Sorridente, sempre, con l'avversario, al momento dello scambio dei gagliardetti, prima ambasciatore affettuoso ma, immediatamente dopo, fulmineo e feroce guerrigliero.

Berlino, Amsterdam, Vienna, Manchester, Torino o Tokyo, mille città, tutte con lo stesso domicilio per lui, quindici metri quadrati. Buffon unico proprietario delle chiavi. Ma nessuna coppa, nessun pallone d'oro. Chiacchiere e distintivi. A Cardiff Gianluigi Buffon ha sognato per l'ultima volta, qui ha concluso la sua carriera continentale. L'anno prossimo, con la nazionale, ci sarà la campagna di Russia. L'ultima, a meno di un annuncio clamoroso. La notte di Cardiff durerà una vita.

Per Buffon, forse, non è mai incominciata.

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