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Quel sorriso è la sua sfida alla malattia

Quel sorriso è la sua sfida alla malattia

Gli occhi, spenti. Perché, improvvisamente, gli hanno tolto la luce, quella sua, vivissima e furbastra, di sempre. Come se al bambino Sinisa avessero portato via il pallone che non è stato e non è soltanto il suo giocattolo ma il mestiere di Mihajlovic, l'oggetto più importante della sua esistenza. Un'esistenza bella e feroce assieme, passata tra le sofferenze della guerra nella terra di Jugoslavia, nella morte per cancro del padre, sbattendo contro gli spigoli che riguardano noi tutti ma che non prevedevano questa maligna sorpresa che ti lascia solo, disperatamente solo, invaso da domande mille su quando, come, perché, senza trovare, mai davvero, una risposta, una spiegazione.

Mihajlovic non è fuggito sull'isola del panico ma ha scelto la via più logica, ha voluto parlarne, dopo due giorni di lacrime e di strazio interiore, ha voluto guardare in faccia se stesso e la malattia e, insieme, la vita, prima tenendo basso lo sguardo, poi, alzandolo come una sfida, come gli capitava e gli capita nei campi di football, perché, lo ha detto lui stesso, le sue non sono lacrime di paura ma di liberazione, prima di affrontare la partita, di giocarla non in difesa ma come più gli piace, all'attacco, a viso aperto. Ha voglia di incominciare, vuole allenare la sofferenza trasformandola in coraggio. Un uomo, prima di tutto, questo è Sinisa Mihajlovic, un guerriero senza maschera, evitando i pietismi di parole vuote e chiacchiere fasulle, proponendo, invece, una verità lucida, aperta anche se amarissima.

La malattia si è presentata senza un avviso, il corpo austero di Mihajlovic non ha avuto segnali di fumo nero, nemmeno grigio, l'avversario bastardo però è arrivato, vigliaccamente, colpendo alle spalle. E, allora, le parole sono scivolate via lentissime, frenate dall'emozione poi fattasi commozione, ogni pausa era un ritorno all'incubo, ogni battito di ciglia il tentativo di destarsi, il silenzio ha coinvolto chi ascoltava, stranito dinanzi a tanta lealtà. Resta la speranza che è una forma grandiosa di combattimento. Resta l'ultimo suo sorriso con il pollice ritto, come si usa, quando si è sicuri della vittoria, prima della sfida. Giocala, Sinisa, giocala.

E vincila.

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