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La stracittadina con gli occhi a mandorla

Il proprietario indonesiano dell'Inter, i potenziali acquirenti cinesi e thailandesi del Milan

Come si dice derby dall'altra parte del mondo? Meglio imparare alla svelta. Cinese, thailandese, indonesiano, magari un pizzico di arabo, ma di milanese cosa c'è rimasto? Per ora la delusione. Alla faccia degli oltre 70mila biglietti venduti, del «Milàn l'è semper un gran Milàn» (appunto Milano non Milan) e dell'album dei ricordi. Già, dove è finita la Milano del pallone? Mai così lontana dal come eravamo: ai confini della provincia del calcio, sulle frontiere dei Paesi d'oriente.

Si era cominciato con due infiltrati: Nagatomo da una parte, Honda dall'altra. Sol Levante e non di più. Eppoi c'è voluto poco per passare dal sol Levante al blasone decadente. Da Milano con il cuore in mano, a Milano con il cappello in mano. Padroni che sganciavano la grana e si sono stufati: meglio chiedere rinforzi. Si sono fatte avanti le ombre d'Oriente: uno strano tipo indonesiano, con il faccione eternamente sorridente e il portafoglio inizialmente lucchettato. Ora va meglio, ma Thohir non ha ancora spiegato perché si è comprato l'Inter. Di recente si è adeguato anche lo sponsor: arrivano i nostri, cioè i cinesi.

Che la Cina sia vicina, a Milano lo sappiamo bene: basta far due passi per strada. Ma che sia così vicina al Milan, lo abbiamo scoperto negli ultimi tempi. Oggi si propone un thailandese, domani sarà un cinese, ma sono tutti lì con l'assegno in mano e la proposta sul tavolo. Arriveranno, arriveranno. Moratti non si è scelto un successore strariccone. Berlusconi pare non voglia far sconti: l'ormai famoso mister Bee naviga sull'offerta da miliardo. E finché sono ipotesi, tutto vale. I cinesi aspettano per il rilancio. Derby dopo derby, il Milan se la gioca. Gli emiri hanno messo il nome sulle maglie, chissà mai che il prossimo anno la “stramilanese” non diventi una esclusiva made in Oriente. Ci siamo persi il bello della milanesità, che non significa giocatori, allenatori, ma è quel «siamo tutti noi» quando San Siro si riempie e lascia respirare l'aria di casa.

D'accordo, l'aspirazione d'oltre confine sta nella storia delle squadre: il Milan nato da una costola inglese, l'Inter con quel nome per intero, Internazionale, che basta la parola. Ma prima era la forza delle squadre che sottometteva tutti alla milanesità, ora è la debolezza che chiama i padroni stranieri. Quest'anno resterà l'ultimo refolo di aria nostrana, ma stasera sarà come presentarsi al santuario della penitenza calcistica: una stagione da comparse tra allenatori frullati e giocatori fatti a pezzetti nel valore e nel sapore. Non è il football di quella Milano che faceva girar la testa. Era calcio da primattori, la stella non mancava mai, quest'anno invece c'è il pieno di mezze tacche, vinceva l'orgoglio della milanesità: che i padroni fossero Moratti o Berlusconi, Rizzoli o Fraizzoli, Buticchi o Pellegrini. Ci sono stati derby da scudetto e derby da «pover crist» , ma ci bastava.

Al contrario, stavolta è un derby che ha già annunciato il risultato: tutti perdenti.

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