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Tre morti in tre mesi Il dottore dei pugili: non uccidono solo i pugni

L'americano Day non ce l'ha fatta. Sturla spiega: «Il vero ko nasce da disidratazione e diete errate»

Tre morti in tre mesi Il dottore dei pugili: non uccidono solo i pugni

Riccardo Signori

È morto un altro pugile, il terzo da luglio ad oggi: stavolta è toccato al 27enne americano Patrick Day, il 23 luglio si chiuse il conto per il 28enne russo Maxim Dadashev e pochi giorni dopo per il 23enne argentino Hugo Santillan. Come vedete una macabra democrazia del pugno: non fa sconti per età o provenienza, non si è più poveri o più ricchi, nemmeno conta aver disputato tanti o pochi match. Si è soltanto figli del proprio destino e, forse, gente più fragile di quella di un tempo. Il benessere non aiuta nella boxe. Ed è assodato che non si potrà azzerare il fattore rischio.

Oggi la boxe attrae perfino le donne, dunque c'è qualcosa di perverso e poco scrutabile tra il fascino dei pugni sul ring e quello del rischiar la pelle. Capita anche in altri sport, ma i morti del pugilato fanno sempre più rumore. Patrick Day se n'è andato nel reparto di rianimazione di Chicago, dopo aver subito gravi danni cerebrali: era in coma da sabato. Al tappeto al 10° round davanti a Charles Conwell, in un incontro fra superwelter, ha battuto la testa e perso conoscenza. Non ce l'ha fatta.

Cosa pensare? La boxe nei decenni si è attrezzata per evitare i morti. Ma non basta. Gli organizzatori pensano al business, non alla salute. Allenatori, uomini d'angolo, medici, arbitri fanno di tutto per evitare i guai? Non sempre, talvolta vincono l'ignoranza nei maestri vecchio stile, arbitri poco tempisti negli interventi, pugili che non sanno aiutare il corpo. Esistono regole, ma poi si balla fra sprovveduti e distratti. Lo racconta il professor Ireneo Sturla, docente universitario, medico a bordo ring in centinaia di match, presidente della commissione medica della federazione europea e del Wbc. Sintetizza: «Tutto parte da lontano: dalla prevenzione. Per esempio dall'attenzione a dieta ed equilibrio dei liquidi. Il Wbc impone una pesatura un mese prima e non deve superare il 6% del limite di categoria poi, una settimana prima, il peso non deve superare il 3%. Se esageri con le saune, il corpo perde liquidi, il cervello naviga nell'acqua, ne risente: c'è alterazione encefalica. Basta uno spostamento violento del capo per rompere la vena ponte». Ma la medicina non può tutto. «Vedo ancora uomini d'angolo che usano male le borse di ghiaccio: le mettono sul collo o sulla schiena, non sulla testa. Oppure sul petto dove si rischiano alterazioni cardiache. E altri errori macroscopici: palazzetti a 35 gradi, musica a palla, tutto provoca alterazioni al fisico».

Sottovalutare un pugno, un atterramento anche in allenamento, è un rischio. La sindrome da secondo impatto è devastante: non è l'ultimo colpo che ammazza. I guantoni sono meno pesanti di una volta. «Ma quando subentra l'acido lattico diventano bombe, i pugili tirano più colpi al viso e molto meno al corpo. Insieme alla Ucla abbiamo studiato i guantoni, la forza di impatto. Si è abbassato il numero dei round per i match titolati. Ma servono prevenzione, istruzione, educazione. Un medico diceva: censire i rischi per censurarli». Eppure, un tempo, c'erano pugili-muratori che lavoravano 8-10 ore, eppoi si allenavano e combattevano.

Forse non è solo questione di pugni.

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