Calcio

Il trofeo nato per amore che ha inventato il grande calcio d'estate

Da omaggio al papà Luigi a innovazione: in un'epoca senza le trasferte milionarie di oggi, offrì sfide di alto livello nella pausa estiva da gustare anche in tv

Silvio Berlusconi con il Milan nel 2011 al trofeo Luigi Berlusconi
Silvio Berlusconi con il Milan nel 2011 al trofeo Luigi Berlusconi

Dal Trofeo Berlusconi al Trofeo Berlusconi. Da Luigi a Silvio. Di padre in figlio. Dall'intimo omaggio dell'imprenditore al proprio genitore, al giusto riconoscimento che il mondo del calcio vuole tributare a uno dei più grandi presidenti della storia. Come Madrid insegna, con il tradizionale trofeo dedicato a Santiago Bernabeu, il più grande presidente della Real casa, il recordman di vittorie che proprio Silvio Berlusconi si vantava di aver superato, così Monza e Milan onorano adesso nel più prestigioso dei modi il patron che ha portato ai rossoneri 8 scudetti e 5 Champions e ha poi regalato ai biancorossi la loro prima storica avventura in serie A.

Ma se adesso sembra quasi scontato intitolare un memorial al presidentissimo di Arcore, nel 1991 il varo del Trofeo Luigi Berlusconi fu l'ennesima intuizione del dirigente che in quelle stagioni cambiò radicalmente le abitudini del calcio italiano. Perché è vero che la manifestazione nasceva dal desiderio affettivo di commemorare la scomparsa di papà Luigi (avvenuta un paio d'anni prima), ma aveva soprattutto un risvolto promozionale per le reti Fininvest alla ricerca di qualche evento che facesse audience prima dell'inizio del campionato. Così il trofeo diventò il vernissage di agosto, l'appuntamento calcistico clou di ogni estate, con il Milan che negli intenti di Silvio avrebbe dovuto incontrare ogni anno, a rotazione, una grande del calcio mondiale, in un periodo storico in cui il precampionato dei club era ben diverso da quello attuale, che sembra una specie di Champions league amichevole, e non andava oltre le classiche partitelle con le squadre minori. Berlusconi invece decise di dare in pasto ai telespettatori di mezza estate una partita che faceva subito entrare la stagione nel vivo (oltre che fare cassetta dal punto di vista pubblicitario per la sua tv) e tanto per cominciare mise sul piatto un Milan-Juve che portò 65mila spettatori a San Siro a metà agosto, oltre ad incollare qualche milione di persone al teleschermo. Da Milan-Juve diventò Milan-Inter, poi Milan-Real e Milan-Bayern, prima di scoprire che il format della partitissima tra il Diavolo e la Signora era quello che stuzzicava più il tifo e le attese. Così questa sfida, che in quegli anni si replicava quasi sempre in chiave scudetto, divenne il tema fisso del trofeo con l'aggiunta di un ingrediente scaramantico per cui chi la spuntava nel Berlusconi non si sarebbe poi aggiudicato il tricolore.

Il vecchio trofeo Berlusconi funzionò comunque a lungo, finché le esibizioni asiatiche e americane delle big di Champions non arrivarono a ritmi tali da diluire il gusto di questi big match ormai ripetuti in modo stucchevole, anche per riempire i palinsesti televisivi nei mesi senza calcio vero. Ma Silvio, che in quegli anni aveva visto lungo ed aveva ampliato la sfera rossonera oltre il calcio, vide riproporre il trofeo di papà Luigi, questa volta a livello giovanile, nelle altre quattro discipline della polisportiva Mediolanum, pallavolo, rugby, baseball e hockey ghiaccio, un'altra delle grandi intuizioni del Berlusconi imprenditore di sport. Quella di cui si parla meno, forse perché durò poco più di un quadriennio, ma in cui il presidente non risparmiò generosi investimenti. Egli stesso parlò di più di 60 miliardi di lire, molti lo criticarono, prima lo accusarono di aver sperperato soldi su discipline che comunque non scaldarono più di tanto una città difficile e scettica come Milano, poi gli arrivò l'accusa opposta quando decise di chiudere tutto e questi sport precipitarono di nuovo nell'anonimato delle serie inferiori o in alcuni casi addirittura sparirono per qualche tempo dal panorama cittadino.

In realtà in quegli anni fatti non solo di calcio, Berlusconi ha avuto il merito di aver fatto fare sport a 2000 ragazzi in quattro sport alternativi al calcio, ma tutti con i colori rossoneri. Perché l'avventura della Mediolanum, affidata inizialmente alla guida di Fabio Capello, che prima di tornare sulla panchina del Milan fu direttore generale della polisportiva, non era fatta solo di caccia ai grandi nomi, che fossero David Campese o Jari Kurri, Jim Morrison oppure Zorzi e Lucchetta, ma anche di settori giovanili che in quelle stagioni raggiunsero i migliori risultati nella storia dei rispettivi club, il Gonzaga e l'Amatori, il Milano '46 e i Diavoli, tutti targati prima Mediolanum e poi Milan come la casa madre. Sta di fatto che quando Silvio decise di chiudere il rubinetto a questi sport, tutti lo criticarono, magari anche a ragione, ma da allora in poi nessun altro imprenditore ha avuto il coraggio o l'apertura mentale di imitarlo e investire negli sport alternativi nemmeno un decimo di quello che aveva fatto Berlusconi. «E senza che il Comune ci abbia nemmeno detto grazie», commentava amaramente ai tempi il Cav che aveva persino in mente di costruire a Milano quella che poteva essere la Milanello degli altri sport. Ma nessuno gli aveva mai nemmeno indicato un pezzo di terra dove realizzarla, mentre le sue squadre dovevano continuare a giocare in impianti obsoleti e degradati. Peccato che quando il Berlusconi politico arrivò poi ad avere in mano le chiavi della città attraverso la sua coalizione, era ormai troppo tardi per realizzare questo sogno, visto che la polisportiva non esisteva più. Mentre gli impianti obsoleti e degradati sono rimasti. In una città dove fare sport è sempre più complicato.

E l'altro Milan resta solo un dolce ricordo.

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