Giro d'Italia

Giro d'Italia: Ulissi e l'antidoping. Come rovinare una tappa all'alba

"Svegliato alle 6, e mi chiedete perché non mi sono mosso...". A casa Tomba vince Weening, ma il colpo lo fa Pozzovivo

Diego Ulissi
Diego Ulissi

nostro inviato a Sestola

Visto che sulle piste di Tomba vince l'olandese Weening davanti a Malacarne, visto che l'avvenimento più significativo è questa trentina di secondi guadagnati sui big dal nostro Pozzovivo, più vivo che mai, visto che oggi il Giro si ferma per riposare prima delle due settimane d'alta montagna, visto che le bocce sono praticamente ferme, si può tentare per una volta la difficile arte della meditazione. Meditiamo su un tema niente affatto marginale: l'antidoping.
A risollevarlo è la testimonianza del nuovo pupillo azzurro, Diego Ulissi. All'arrivo di Sestola, dove tutti gli chiedono perché mai non abbia fatto tris in una tappa ancora buona per il suo scatto letale, risponde con sguardo stralunato. Parla di una notte infernale, con sole quattro-cinque ore di sonno. La nuda ricostruzione risulta molto istruttiva. Allora: dopo la grande vittoria di Montecopiolo, arrivo in albergo intorno alle 21. Subito massaggio, quindi cena. La squadra si salza da tavola dopo le 23. Finalmente si può andare in camera. Sistemazione materiale, telefonate a casa, un'occhiata a Google Maps per vedere nei dettagli la tappa del giorno dopo. Quando finalmente si spegne la luce, è notte.

Un tizio qualunque vorrebbe riposare, un ciclista dovrebbe. Il riposo è più importante di qualunque altra cosa, in un lungo giro. Ulissi ne ha bisogno estremo, perché ha speso molto centrando la sua vittoria e perché ha tutta l'intenzione di inseguirne subito un'altra. Quanto bisogno di dormire, quanto bisogno di recuperare. Alle sei e mezza, invece, bussano in camera: Ulissi, controllo a sorpresa. Rintronato, il giovane toscano subisce. Questo è il regolamento, questo è l'antidoping, questo è il ciclismo. Commento suo: «Sono il primo a condividere la lotta al doping. Però venire all'alba mi sembra vergognoso…».

Usa questo aggettivo senza problemi. Non ce l'ha con il controllo, ce l'ha con l'orario, che trasforma la sua tappa in un fachiraggio: «Se non riposi, in corsa paghi. Ero confuso e balordo, in alcuni momenti mi sentivo come svenire. Poi mi chiedono perché non ho centrato la terza vittoria. Indovina come mai…».
Spiega la retorica sportiva che nessun arbitro riesce mai a condizionare il risultato. Come no. L'arbitro arriva all'alba di una tappa difficile e sveglia un atleta che dorme da cinque ore. Vogliamo dire forse che questo non sega alle radici il sofisticato equilibrio dell'atleta stesso, levandolo praticamente di mezzo dai grandi giochi della corsa?

E comunque, mettiamola così. Mettiamo pure che i ciclisti si siano meritati questo simpatico trattamento con le loro truffe svergognate. Mettiamo pure che i controllori dell'antidoping abbiano ragioni scientifiche insormontabili per presentarsi come tanti Dracula, sfruttando la penombra della notte. Mettiamo pure che Ulissi la fa troppo lunga, che il ciclismo è fatica e sudore, è sport per fachiri, è sport maschio che non tollera contestazioni da signorine. Posto tutto questo, proviamo comunque a fornire una risposta sincera su precisa domanda: ma se un controllo antidoping arrivasse all'alba nelle camere del calcio, del basket, del nuoto, dello sci, del tennis, del taekwondo e del curling, prima di una discesa libera, prima dei 200 stile libero, prima dei play-off, prima di una semifinale su terra rossa o sul sintetico? Un po' di impegno, un po' di onestà: diamoci questa benedetta risposta. Forza, che succederebbe se l'antidoping si presentasse nelle camere di Juve e Milan alle sei di mattina, prima di una finale? Quanto andremmo avanti con la caciara indignata? Gli Ulissi invece no: saltano giù dal letto, subiscono il controllo, vanno a correre una tappa di montagna.

E sul traguardo trovano pure quelli che gli chiedono perché non abbia vinto la tappa. Ma perché non mollargli pure due sberle, che si fa prima?

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