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Gli ultrà e la doppia morale della curvail commento 2

di Tony Damascelli
Il caporale Tiziano Chierotti era soltanto un alpino, soldato italiano. Non un ultras. Non un fighter, non un drugo, uno da fossa dei leoni, un irriducibile. Uno di loro.
È morto in Afghanistan, non durante una rissa tra gaglioffi nel Bronx degli stadi italiani. Dunque non va onorato come ha saputo fare il manipolo di Livorno che, al momento della commemorazione prima del fischio di inizio della partita con il Cesena, ha scelto di voltare le spalle alla memoria del defunto. L'aggettivo patriota si conserva tale e quale in inglese, francese, spagnolo, tedesco. Forse le facce di spalle di Livorno non lo sanno, frequentano altri testi e altri centri di informazioni più sociali. Roba simile accade a Verona o a Roma, laddove la ciurma ha un colore ideologico e politico, si fa per dire, opposto, nazifascista, per distinguersi dai triglioni comunisti. Massì offendiamo i morti, i martiri delle foibe, i rivali caduti sul campo, vomitiamo contro tutto, rottamiamo la vita, quella degli altri ovviamente. Tutto questo che cosa possa c'entrare con il gioco del football pochi lo sanno e molti lo spiegano.
In verità lo stadio e l'evento calcistico sono diventati una buona occasione per i soliti miserabili i quali, per coordinarsi meglio, spesso assumono sostanze necessarie all'uopo, tanto è un gioco, tanto è un segnale di libertà contro l'oppressione. In altri settori, diversi dalle curve, l'aria non è affatto sopraffina e di alta società, dunque il territorio ormai è inquinato oltre ogni logica e limite di accettazione. Non c'è Daspo che tenga, non ci sono tornelli e squalifiche che possano fermare questa tendenza all'offesa, all'insulto, all'aggressione, verbale e fisica. Non si tratta più di quattro idioti sbevazzati che non hanno altro da fare. No, il calcio ha deciso di farsi del male dentro e fuori, la sua corruzione passa anche attraverso questi fenomeni, la complicità dei tesserati, i calciatori su tutti, con la parte peggiore del tifo, è un fenomeno particolarmente italiano e ne sono conferma uno, dieci, cento episodi, dalla resa dei calciatori genoani con la consegna delle maglie, alla sospensione di un derby romano per imposizione degli ultras, ai fenomeni di criminalità che hanno colpito alcuni calciatori del Napoli o della Juventus. La stampa è stata omertosa in molti casi, non si ha notizia di dibattiti televisivi aspri sull'argomento così come ce ne sono stati, invece, su calciopoli, si ha paura di individuare, di riconoscere, di condannare e anche le forze dell'ordine hanno la loro parte di responsabilità. Le scene miserabili di Livorno, dopo i cori schifosi degli ultrà di Verona (con la revoca della tessera del tifoso per i denunciati) non hanno provocato nessuna reazione da parte dei calciatori e dell'arbitro né prima, né durante la partita che andava interrotta per provvedere all'evacuazione del manipolo. Meglio, invece, parlare dell'arbitro, meglio discutere del calcio di rigore. Mazzarri, come Zeman, si sono lamentati per gli insulti razzisti ricevuti a Torino ma, forse, nei loro domicili si cantano, nei confronti degli avversari, le canzoni dello Zecchino d'oro? Tengono tutti famiglia, pronti a denunciare un mondo abitato soltanto da prostitute fatta eccezione la loro madre e la loro sorella. Difficile uscire dal bordello contemporaneo fino a quando i calciatori continueranno a essere complici degli ultras, di Livorno, di Verona, di Milano, di Torino, di dovunque. È la verità e nessuno avrà il coraggio di confessarla davanti alle telecamere, dopo un rigore non fischiato o un gol annullato. Il loro, si sa, è «un meraviglioso pubblico». Il caporale Tiziano Chierotti, e gli altri ragazzi italiani morti per la patria o per il calcio, ringraziano con affetto.
Post scriptum: Il Grosseto ha messo fuori rosa e in preavviso di licenziamento quattro calciatori coinvolti alle 5 e 30 del mattino in un grave incidente stradale; alcuni di essi erano ubriachi.

Ultras sempre.

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