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"Vai Gimondi", addio campione. E l'Italia scende dalla bici

Ucciso da un infarto mentre nuotava. Amato e rispettato, il Paese lo spronava così. Vinse tutto, per farlo batté Merckx

"Vai Gimondi", addio campione. E l'Italia scende dalla bici

Era felice di essere al mare con la sua Tiziana. Felice in una terra che lui ha sempre amato: la Sicilia. Era al mare, quando si è sentito male e il suo cuore ha cessato di battere nonostante abbiano provato in tutti i modi a salvarlo con un massaggio cardiaco sul bagnasciuga dei Giardini Naxos. Felice Gimondi, uno dei più grandi ciclisti e sportivi di ogni tempo è morto ieri quando il sole vestiva di rosso Taormina, uno dei siti più belli del mondo. Ci veniva da alcuni anni Felice, con la sua Tiziana per trascorrere in questa terra riservata e generosa qualche giorno di vacanza. Nato a Sedrina il 29 settembre del 1942, Felice Gimondi è stato un grandissimo del ciclismo, prima come corridore e poi come dirigente. Salito alla ribalta vincendo da dilettante il Tour de l'Avenir (che per curiosa coincidenza si sta correndo proprio in questi giorni) nel 1964, il campione bergamasco ha esordito tra i professionisti nella stagione successiva collezionando il secondo posto alla Freccia Vallone e il terzo al Giro d'Italia vinto dal suo compagno di squadra Vittorio Adorni.

«Ho perso un caro amico ha commentato con la voce rotta dal pianto il campione parmense -. Ho perso un altro grande tassello della mia vita di sportivo e di uomo». Proprio quel risultato ottenuto al Tour delle speranze convinse i dirigenti della Salvarani a proporgli di partecipare anche al Tour de France: dopo qualche tentennamento e superate le perplessità della famiglia, Gimondi partì per la Francia. Partito anche qui come gregario di Adorni, Felice vinse la terza tappa a Rouen indossando la maglia gialla e da lì cominciò la sua cavalcata finale che - dopo il duello sul Mont Ventoux con Poulidor e altri due successi di tappa nelle crono del Mont Revard e di Parigi - lo portò a cogliere il trionfo finale. Fu quello il primo passo di una carriera straordinaria che lo potò a conquistare per tre volte il Giro d'Italia (1967, 1969 e 1976) e una volta la Vuelta di Spagna (nel 1968). Grazie a questi successi, in tutti e tre i Grandi Giri, è uno degli otto corridori a poter vantare la tripla corona, al pari di campioni del calibro di Jaques Anquetil, Eddy Merckx, Bernard Hinault, Miguel Indurain, Alberto Contador, Vincenzo Nibali e Chris Froome.

Nel suo ricchissimo palmares tra le altre il Mondiale del 1973 a Barcellona, la Sanremo del 1974 vinta in maglia iridata, la Roubaix del 1966, il Lombardia del 1966 e quello del 1973. Gimondi e Merckx un connubio perfetto, più che una rivalità. Il Cannibale contro il campione; il gigante contro l'irriducibile. Merckx il più grande campione di sempre, ingigantito dalla figura e dall'agonismo di questo inesauribile e immenso rivale, che non si è mai dato per vinto, ingaggiando duelli che spesso, sulla carta, potevano sembrare persino superflui. Ma se con Merckx qualsiasi risultato poteva sembrare scontato, Gimondi ha avuto il merito di dare speranza a tutti. Era l'esempio più compiuto di uomo che non si arrende mai e lotta fino in fondo con tutte le energie di cui dispone. Un uomo che si dà, sempre e comunque e grazie al suo temperamento riesce in pratica a vincere tutto quello che è possibile vincere, nonostante quello là. Se Merckx è stato il simbolo della vittoria, Gimondi non è assolutamente stato quello della sconfitta, ma della speranza. Quella speranza che ogni atleta ha di poter vincere la propria sfida anche contro un avversario all'apparenza indomabile. Gimondi nella sua immensa carriera perse tante volte, ma altrettante vinse. «E ogni vittoria, ottenuta con dedizione e puntiglio, valevano per me tre volte quelle del mio caro amico Eddy», ebbe modo di confidarci in più di un'occasione. Ieri pomeriggio, mentre il sole lentamente calava nel mare, uno dei più grandi campioni del nostro sport ha chiuso gli occhi come a sognare ancora quei grandi duelli di un tempo passato.

E in quel preciso momento, tutti noi, qualcosa abbiamo perso.

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