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"Veniva a prendermi a scuola. E nella nostra Cagliari ero il bimbo più invidiato"

Il figlio del vicepresidente che portò Riva in Sardegna: "Avevo 10 anni, per me era come un fratello maggiore"

"Veniva a prendermi a scuola. E nella nostra Cagliari ero il bimbo più invidiato"

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Stefano Arrica, 64 anni, è triste: «Addio Gigi...». Lui, figlio di Andrea Arrica il vicepresidente del Cagliari, scomparso nel 2011, che nel '63 ebbe il geniale intuito di capire il valore di Riva e di portarlo sull'isola strappandolo alla concorrenza del Bologna del presidente Renato Dall'Ara. Stefano ha scritto un libro palpitante di ricordi, Mio papà, il padre dello scudetto, dove Riva nella prefazione fa una dedica che è una carezza per l'anima: «Oggi quando guardo indietro mi dico che Andrea Arrica mi è stato mandato dai miei genitori, dal cielo, in modo che non mi sentissi solo».

Stefano, perché Gigi si «sentiva solo»?

«I genitori erano morti. Ma a casa nostra ha trovato una nuova famiglia».

In Andrea ha visto un padre putativo e in lei un fratellino acquisito?

«Papà amava profondamente Gigi. Tra loro c'era un feeling speciale. Io lo vedevo come il mio supereroe. Che gioia quando veniva a prendermi a scuola o mi portava negli spogliatoi della squadra, fianco a fianco con tanti campioni. Penso di essere stato un bimbo fortunato e molto invidiato».

Ma come fece suo padre a scovare quella «perla» nascosta che giocava nel Legnano?

«Un'avventura incredibile».

Racconti...

«Papà era amico di un carabiniere in servizio in Lombardia che oltre a scovare malviventi (suo il merito della cattura del celebre «bandito Cimino») faceva il talent scout di giovani talenti calcistici».

E fu così che...

«Il carabiniere dall'occhio lungo disse a mio padre: Vieni subito qui, c'è un ragazzo che è una bomba. Detto fatto. Papà lo vide e decise di portarlo a Cagliari».

Dopo aver sborsato però 37 milioni e mezzo...

«Una cifra che gli amministratori del Cagliari ritennero esagerata, non capendo la pepita d'oro che avevano tra le mani. Tanto da insistere per cedere Riva appena sbarcato sull'isola».

Ma come? Non aveva ancora fatto una partita e già lo volevano rivendere?

«E certo. Mentre papà e Gigi erano sul volo che li stava riportando a Cagliari, arrivò infatti la telefonata del presidente del Bologna, Renato Dall'Ara, che offriva 50 milioni. A poche ore dall'affare il Cagliari aveva già guadagnato una plusvalenza di 13 milioni. Un colpo eccezionale!».

Ma Andrea Arrica non cedette al vile denaro...

«Agli amministratori del club disse a muso duro, un po' bluffando: Riva rimane qui, se serve i soldi li metto io».

Gigi si adattò subito?

«Sì. Era un lombardo ma con il dna da sardo. Stesso carattere al contempo chiuso ma pronto ad aprirsi alla generosità. Poi il suo temperamento, i suoi gol, la sua voglia di non mollare mai, completarono la simbiosi tra lui e la tifoseria. Senza idolatria o isterismi, ma con reciproco rispetto».

Si aprì così un'epopea che nel '70 portò in Sardegna lo scudetto. Tra Cagliari e Riva il binomio sarebbe rimasto inscindibile per sempre.

«Sull'isola Riva era un'icona. Campione e uomo bellissimo che le donne si mangiavano con gli occhi. Un signore sempre fedele alla maglia del Cagliari e alla terra di Sardegna. Romantica storia d'amore. D'altri tempi. Giusto che tutto sia iniziato, e finito, qui. L'intera isola è orgogliosa.

E, da lassù, sarà felice anche Gigi».

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