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Il vero miracolo operaio: il ritorno del maledetto Burnley

Oltre al Leicester, in Inghilterra c'è un'altra favola

Il vero miracolo operaio: il ritorno del maledetto Burnley

Mentre tutto il mondo lunedì sera tempestava i social network celebrando l’impresa trionfale del Leicester City, tra le strade di un pezzetto di Lancashire, profondo nord industriale della Gran Bretagna si festeggiava il ritorno del Burnley di Sean Dyche in Premier League. Sebbene la moda di tifosi dell’ultim’ora abbia contribuito a disperdere storie curiose come questa, il miracolo di un club definito “povero” e “provinciale” come il Burnley non è passato del tutto inosservato rispetto al sorprendente successo delle Foxes. Antico club di una cittadina dormitorio di 70 mila abitanti (la più piccola con un team in questo torneo), il Burnley si è sempre contraddistinto per lo spirito operaio di giocatori e società, decisamente controcorrente rispetto alla ricchezza immane delle squadre di proprietà di sceicchi e magnati asiatici.

È la filosofia del “Made in England” a caratterizzare una rosa quindi composta da 18 giocatori inglesi su 26, senza contare tre scozzesi e un gallese a completare il resto della truppo. Trascinati da Andre Gray, fratello sconosciuto e ancor più povero di Jamie Vardy e dal ribelle Joey Barton, i Clarets (soprannome della squadra) hanno dominato tutta la stagione sino all’epilogo felice della vittoria contro il Queens Park Rangers. E se da un lato gli abitanti di Burnley dimostrando un attaccamento viscerale alla loro squadra, gioiscono e pregustano le sfide importanti con club prestigiosi e titolati, dall’altro l’intera Inghilterra trema, considerando che questa città è considerata da sempre una delle roccaforti del tifo più estremo, essendo sede della famigerata “Suicide Squad”, tra le più violente firm d’Europa. Armi primitive, spranghe, bombe, la tifoseria capitanata da Andrew Porter, una vita da dentro e fuori nelle prigioni, tempo fa è stata e sciolta e i membri interdetti a vita dagli stadi, tuttavia il Turf Moor, lo stadio del Burnley, per altro tra i più antichi d’Europa, in diverse recenti occasioni è stato teatro di scontri e accoltellamenti tra fazioni rivali. A fare da sfondo a tutto ciò, fabbriche dismesse e miniere chiuse da tempo, pub sparsi e campetti periferici come unici luoghi di ritrovo, facili e fertili elementi per la nascita di nuovi movimenti hooligans. No, non stiamo parlando di un racconto uscito dalla penna sempre contemporanea di Irvine Welsh ma di storia vera, la stessa che ha riempito le pagine di Nera degli anni ottanta.

Quella di un posto maledetto e della sua cerchia di gente burrascosa che si appresta ora a ritagliarsi con orgoglio e prepotenza una nuova pagina nell’olimpo del calcio inglese.

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