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Allegri vince, urla e sbuffa ma il suo futuro è lontano dalla Juve

Non gli basta inanellare vittorie e record, il feeling con l'ambiente ormai si è incrinato

Allegri vince, urla e sbuffa ma il suo futuro è lontano dalla Juve

Il potere logora chi ce l'ha. E lo sta perdendo. Prendete Jasmin, il croato Repesa: primo in classifica con l'Armani ma in Eurolega viaggia come un treno pendolare, sbuffa, fatica, trascina vagoni guardando gli altri correre sulla Tav. Idem come sopra per Massimiliano Allegri, al quale non bastano tre scudetti tre e la finale, persa, di Champions league contro i signori catalani del Barcellona. No, non basta essere primo in classifica con 4 punti ufficiali o 7 virtuali sulla Roma. Il momento è critico, piovono insulti sui social e fischi dalla tribune, mormorii nei corridoi, puzzo di fumo, di arrosto forse, due allenatori vittoriosi ma non più vincenti, nel senso che si vuole dare a questa parola. Lo sport se la spassa con i riconoscimenti, ma non ha riconoscenza.

Allegri incomincia a perdere colpi e non soltanto partite. La sconfitta di Doha, la seconda nel sito per il livornese, ha un peso superiore a tante altre (già tre in campionato e sono troppe) perché è venuta al termine di una non-partita, non giocata dalla Juventus che tutti conoscono e di cui tutti parlano e che pochi hanno visto in questi mesi. Max si è spogliato da solo in Qatar, andando fuori di matto, con quella sceneggiata che non tanto ha fatto il giro del mondo sui social ma è finita anche a casa del padrone. Il quale non è proprio soddisfatto di come stia andando la ditta nella quale ha investito un monte di quattrini. Si dirà: ma come, la Juve primeggia in A, si è qualificata da leader in Champions, che altro volete dalla vita? A Torino, parlando con un paio di calciatori arrivati la scorsa estate, non esiste alternativa: o si vince o non si perde. Ma si lotta, si sputa l'anima, si finisce stremati e non stanchi.

Nessuno vive di rendita, né se ti chiami Agnelli, né Elkann, né tanto meno Dybala o Allegri, Pjanic o Higuain. Fino alla fine è lo slogan che piace tanto all'esercito bianconero, uno stemma quasi che segue quello dei titoli vinti sul campo. Bene proprio sul campo la Juventus è una vecchia signora, non meglio definita nel suo portamento. L'anno si è concluso senza che nessuno abbia ancora capito quale sia la formazione base della squadra, altro giro altro schieramento, uno alla volta per carità. Molte idee e confuse, Allegri ha urlato contro i suoi ma sa che sono i suoi a urlare contro di lui perché se davvero avesse voglia di prenderli a calci, secondo stile toscano (Lippi all'Inter così disse dei suoi) allora sappia, Allegri, che è finito il tempo delle mele anche per lui e, come avevo già scritto, si è concluso da mesi. Del resto era incominciato per caso, una scelta forzata in dodici ore dopo la partenza di Conte, definita vigliacca senza sapere che era stata rinviata su richiesta della società per non sgonfiare la campagna abbonamenti.

Ora i senza-Conte sperano nel ritorno del salentino ma non è il caso. Da tempo la Juventus si è guardata intorno, da tempo ha individuato le alternative, prescindendo dalla parata di Donnarumma a Doha o dai calci nel sedere che Allegri vorrebbe sferrare alla comitiva. Chi prenderà il posto del livornese avrà uguali pesi da sopportare, un patrimonio storico e non soltanto finanziario contabile, una piazza abituata alla brioche ma che sa di doverla conquistare mordendo anche il pane nero. Qualcuno lo ha dimenticato, sta ad Andrea Agnelli riprendere in mano la barca, lasciando da parte per qualche ora i conti e i progetti. Serve il suo cognome, serve la storia della famiglia e, dunque, della Juventus per far intendere ad Allegri e al resto della fabbrica che nulla è perduto ma tutto si può perdere. La palla è rotonda ma ha spigoli non previsti che possono far male. Vincere non basta. Vincere a Milano e a Torino fa parte del contratto.

E che nessuno pensi di scaricare sull'ignavia altrui le proprie colpe.

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