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Zavoli, narratore e poeta fece il processo al ciclismo

Giornalista felliniano, dal teleschermo alla politica. Ha rivoluzionato lo sport in tv con l'irruzione al Giro

Zavoli, narratore e poeta fece il processo al ciclismo

La voce. O meglio, il tono di quella voce. Quasi un confessore, accompagnando il pensiero profondo a quiete parole. Per una vita Sergio Zavoli ha insegnato il mestiere del chiedere, verbo all'infinito che è segnale di rispetto, di educazione ormai smarriti e inutili nel contemporaneo blob, aggressivo e maleodorante. Zavoli non ha mai abbandonato quel fanciullo sfollato a San Marino, ultimo a sinistra sulle panche della scuola elementare, nella fotografia del tempo, defilato per disciplina e senso del dovere. Sergio Zavoli è esempio irripetibile di giornalismo intelligente, moderno, di inchiesta, mai esasperato, mai portato al sensazionalismo della notizia, dell'intervista. Davanti a lui, al suo microfono, alla sua penna, alla sua figura seria, sono eppure passati illustri attori di un secolo pieno di cose, scrittori, politici, atleti di sport, suore di clausura, terroristi assassini di destra, di sinistra, non più sfacciati dinanzi a quella voce serena, pacata ma puntuale nelle domande, tutte.

Cresciuto a Rimini, dopo la nascita ravvenate, emigrato a Roma, cittadino di un'Italia passata dalla dittatura alla repubblica, titoli e temi forti di suoi programmi epocali, Zavoli aveva capito che l'informazione radio andasse rilanciata con quello che venne chiamato neorealismo radiofonico, cioè un format, si direbbe oggi, da documentario non più imbastito, ingessato, polveroso, da e di regime. La radio, dunque, diventò non soltanto amica e compagna bensì maestra da ascoltare, per imparare quella fetta di vita che poi la televisione avrebbe illustrato con le immagini. Questo, Zavoli, ha saputo continuare a fare, mai diventando protagonista dell'evento ma narrando, come un'ombra, storie apparentemente di margine, con una profondità aggraziata e rigorosa, sempre umana e unica.

Il suo esordio radiofonico prevedeva la cronaca di una partita di calcio, Nicolò Carosio faceva i capricci chiedendo soldi e un contratto più robusto. Si pensò a Zavoli, il direttore Piccone Stella ne parlò a Vittorio Veltroni, il colloquio portò al cambio di genere, niente sport, per il momento, ma documentari, secondo l'idea dello stesso Zavoli illustrata a Cesare Zavattini. Era un teatro grandioso quello dell'Italia che rinasceva dopo la guerra cattiva, Zavoli ne intuì la forza espressiva, le mille storie che conservava sotto le macerie.

Venne la televisione, dunque l'immagine, e qui Zavoli trovò il modo di dare luce al racconto, combinando la cronaca con la narrazione, il giornalismo di informazione con il romanzo e, a volte, la poesia. Fu il Processo alla tappa, il 20 maggio del Sessantadue, a cambiare il modo di raccontare il ciclismo, non soltanto epico ma soprattutto umano. Se trionfava Taccone, se vinceva Pambianco, se la maglia rosa finiva sulle spalle di De Filippis, lui, Zavoli porgeva il microfono, in corsa, stando in groppa alla motocicletta, come un vero suiveur, al gregario in affanno, a Lucillo Lievore che, nel giro del 66, tappa di Vittorio Veneto, dopo una fuga lunghissima, che lo portò a un vantaggio di trentotto minuti, prese a spingere nel vuoto della fatica, i pedali e la sua bicicletta sembravano macigni, la strada una fetta di soifferenza. Ne venne fuori un'intervista bellissima, Lucillo era un muratore che correva per passione. La sua fuga evaporò nel sudore, fu raggiunto e battuto da Scandelli ma Lievore, candido, andò sul palco del Processo, per ricevere il conforto di Zavoli che si scusò per averlo martirizzato durante la tappa. Era un altro ciclismo ma era, soprattutto, un altro giornalismo, un altro tipo di relazione.

Zavoli, nei sette anni di conduzione del Processo, seppe mediare il fenomeno, il suo album vivente di figurine coinvolgeva i gregari e, assieme, le firme più illustri, Montanelli, Raschi, Giuseppe Berto, consapevoli, tutte, di far parte non di uno spettacolo ma di una narrazione. Il resto sono una vita e una carriera di grandissima dignità, tra premi, riconoscimenti, cariche dirigenziali e presidenziali, impegno politico, libri, saggi e Romanz(a). Il matrimonio all'età di novantaquattro anni, con Alessandra, è stata l'ennesima poesia, imprevista, romantica, nostalgica, di profumo felliniano, come è sua la terra antica riminese. Una carriera e una vita in prima fila, restando però nell'ombra. Ombra mia, ti allontani leggera come un'eco, ti liberi, svanisci, lo sento che ti perdo. Ora mi vestirò dei tuoi colori per essere tutt'uno almeno qui dove ci separiamo. Mia sembianza, io sono stato, a volte, la tua ombra, tu non mi sbugiardavi, si stava insieme, come ricorderai, senza sapere chi dei due era l'altro ( da La parte in ombra di Sergio Zavoli).

(27. Continua)

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