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Zhang non vende più? Che cosa nasconde l'inaspettato dietrofront

Forse un semplice rilancio della trattativa. Ma ora tenere l'Inter potrebbe fare comodo anche a Pechino

Zhang non vende più? Che cosa nasconde l'inaspettato dietrofront

È cambiata l'Inter o è cambiata la Cina? Guardiamoci intorno e non dimentichiamo che le vie della politica sono infinite e talvolta sorprendenti. Il mondo sta cambiando, le guerre sconvolgono equilibri, lo sanno anche a Pechino dove si sono appena confessati fra loro nel congresso di partito. L'ammiccante uscita di Steven Zhang («Non vendo l'Inter»), dopo il passaggio del turno in Champions, ha scatenato la dietrologia. Tifosi interisti disperati solo all'idea di vedersi ancora tra i piedi il simpatico collezionista di selfies, giornalisti e mercati con occhio lungo e orecchio teso nel cercare di capire l'origine di tanta sicurezza. Ci sarebbe da ascoltare anche le chiacchiere di Beppe Marotta che, stavolta, ha tenuto la parte del giovin signore lasciando affiorare l'ipotesi che Suning resterà padrona. E nonostante tutto, che non è un modo di dire ma una realtà non proprio rosea: basterebbe dare un'occhiata alla cassa e ai conti. Cosa sarà mai successo, soprattutto alla vigilia dell'assemblea dei soci nel quarto anniversario della presidenza Zhang? Il presidente ha scoperto una miniera di soldoni sonanti? Difficile. Vuol rassicurare i soci, nonostante i 140 milioni di bilancio in rosso e i 10 milioni che ogni mese il club brucia nello squilibrio tra entrate e uscite? Non vendere è per nulla rassicurante. Ha bluffato? Un po' troppo infantile. Semmai punta ad alzare la posta, che è già alta con quel miliardo e 200 milioni sul cartello vendesi. A tali condizioni cedere è quasi impossibile, solo un amante del rischio senza rete potrebbe provarci. E non dimentichiamo le centinaia di milioni chieste a prestito e ovviamente da restituire. Poi non parliamo di soci di minoranza: nessuno mette soldi in un affare per contare nulla o, comunque, non abbastanza. Oggi l'Inter è tornata squadra calcisticamente seducente, ha scavallato la qualificazione agli ottavi di Champions, sta ritrovando i campioni (leggi gol di Lukaku), è convinta di trattenere Skriniar (ieri incontro fra le parti, introduttivo al rendez vous della settimana prossima), la partita sul nuovo stadio sta per arrivare a definizione e rappresenta un valore aggiunto. Per tutto questo si sarà esaltato Zhang, al quale i tifosi contestano di essersi presentato solo a successo fra le mani, non quando il vento tirava contro. Ma pure questo è un déjà vu. No, non c'è da credere ad una esaltazione gratuita.

E allora? Chissà mai che anche la politica non conti la sua parte. Non certo quella italiana. Qui bisognerebbe buttare un occhio al congresso del partito comunista cinese. Si dice che il signor Suning ne sia uscito rafforzato. Ma dalla Cina ti fanno intendere tutto ed il suo contrario. Però il figliolo non può aprir bocca senza che papà non voglia. E quando era il momento di tirare la cinghia l'ordine è arrivato perentorio. Stavolta Zhang è partito sicuro: «Qui non si vende». E di più detto in sintesi: «Guardate il buon lavoro fatto, come abbiamo rinforzato la squadra, siamo tutti bravissimi». Ora è pur vero che la pubblicità è l'anima del commercio e Zhang ci prova, ma chissà mai dalle parti di papà non abbiano pensato che un piede in Europa va tenuto. E un club di grandi tradizioni e imponente tifo (vedi alla voce incassi da stadio), val più di tanti sorrisi e pacche sulle spalle fra politici. La Cina non è così vicina all'Europa in questo momento politico. Piantare una bandierina di passione, e magari vederla sventolare, non è un simbolo, piuttosto una strizzata d'occhio al Vecchio Continente. Conta l'immagine più del business.

La Cina è vicina, per i milioni (anche quelli da restituire) si vedrà.

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