Cultura e Spettacoli

Squitieri: "Con Piazzale Loreto denuncio la rimozione del passato"

Il regista mette in scena una pièce che riflette sui drammi italiani

da Benevento

Sorprendente come al solito, Pasquale Squitieri l'eterno enfant terrible del cinema italiano, non cessa di stupire. Presentando a Benevento il 1° settembre (con una ripresa, il 26 dello stesso mese, a Roma) la novità più eclatante della prossima stagione. Un Piazzale Loreto, da lui scritto e diretto, provocatorio non solo nel titolo ma nei contenuti. Dato che Ottavia Fusco e Marino Masé, i due protagonisti, non danno vita - come ci si sarebbe potuto aspettare - a Mussolini e alla Petacci ma a un'Edda Ciano anziana e malata e a un suo vecchio sodale. Nel testo la contessa, nel deserto di una stanza vuota, ascolta inorridita il comunicato delle Brigate rosse che annunciano l'esecuzione di Aldo Moro in compagnia di Fosco, ex repubblichino, che evoca i fatti salienti del regime e l'orrido scempio del 29 aprile compiuto sui cadaveri del padre e della sua amante.

Come mai, Squitieri, è tornato sui suoi passi a tanti anni dal film con Claudia Cardinale?

«Per due motivi precisi. In Claretta che era tratto dalle memorie di Miriam Petacci la storia si chiudeva su una notazione etica con la decisione della protagonista di condividere la sorte dell'uomo cui aveva legato il suo destino. In Piazzale Loreto mostro invece, nell'esasperata tensione di un dopoguerra che è storia di oggi, il reiterarsi e lo scandaloso riproporsi di una situazione inaccettabile».

Sarebbe a dire?

«La rimozione del proprio passato da parte degli italiani. Che da sessant'anni a questa parte vivono, per dirla con Alvaro, in una assurda pazzia morale. O, peggio ancora, in una condizione affine alla necrofilia».

Può spiegarsi meglio?

«I tedeschi hanno vissuto sulla loro pelle Norimberga, i francesi hanno fucilato più di cinquecento collaborazionisti, i giapponesi ne hanno condannato a morte novecento... Intendiamoci, io non sono un fautore della morte né un innamorato della patologia della dissoluzione. Mi limito a dire che l'Italia continua a vivere in una "zona grigia". Un'immensa distesa d'oblio dove s’insabbia tutto ciò che è accaduto ieri».
Che risposta dà Piazzale Loreto a questa gigantesca autoassoluzione collettiva?
«Il mio testo si limita a constatare la spaventosa riproduzione di tutti i nostri ieri nel presente di oggi e nel futuro di domani. Quando Edda, sopraffatta dal ballo dissennato dei manichini che rappresentano la folla che oltraggia le salme dei gerarchi, prorompe in un atto d'accusa contro Robespierre fautore della rivoluzione che cancellò la mitologia del grand siècle per elevare al suo posto il regno di un falso Ente supremo, io mi scaglio contro... ».

Contro cosa?

«Contro l'ipocrisia di tutti gli italiani. Contro quelli che, persa la guerra, si sono sempre dichiarati antifascisti. Come Vittorini che, nel '22 partecipò alla marcia su Roma o come Lizzani che nel'40, su Critica fascista, esaltò il film razzista di Veit Harlan Suss l'ebreo. In un paese privo di qualsiasi struttura morale, tutto si smorza in un'autocensura che contagia le anime prima ancora dei corpi».

Con questo spettacolo, che segue la rilettura della Lettera al padre desunta da Kafka e del pirandelliano Come tu mi vuoi, Squitieri imbocca la via del teatro congedandosi per sempre dal cinema?

«Tutt'altro! Faccio Piazzale Loreto in teatro perché nessuno accetterebbe sul grande schermo una sceneggiatura come questa».

Non le sembra di esagerare?

«Scherza? Ma lo sa cosa mi è capitato quando stavo per varare un film sulla strage degli ebrei sul lago di Garda? I portavoce della comunità israelita ci fecero sapere che avrebbero fatto causa alla produzione se il film fosse stato firmato col nome del sottoscritto».

Risultato?

«Il film non si è fatto e non si farà mai più».

Torniamo a Piazzale Loreto che ha un finale di un pessimismo disperato...

«Disperato? Sì, a patto che il pubblico metta in relazione il comportamento di Edda che perdona Fosco per aver fatto parte del commando che fucilò Galeazzo a Verona con l'atroce orgoglio delle Br che rivendicano l'esecuzione di Biagi.

Due atti complementari e inammissibili che, ripetendosi, ci fanno di nuovo piombare nella zona grigia dell'ambiguità».

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