Cultura e Spettacoli

STANISLAW LEM Un delirio spaziale

Del grande autore di fantascienza esce per la prima volta in Italia «L’ospedale dei dannati», storia che si svolge in un manicomio sotto la dominazione nazista

Stanislaw Lem, scrittore polacco nato a Leopoli nel 1921 e scomparso nel marzo scorso a Cracovia, è soprattutto noto, anche in Occidente, specie nel mondo anglosassone, per i suoi molteplici libri incentrati sui temi, motivi tipici di certa fantascienza dai connotati allegorici o persino da avvertibili rifrangenze etiche. Basta citare al proposito il romanzo Solaris che, nel 1971, ispirò al cineasta russo Andrej Tarkovskij l'omonimo film variamente animato da vicende, personaggi immersi in un clima avveniristico dalle inquietanti, reversibili parvenze evocative.
In particolare, la traccia portante del racconto è dislocata per larga parte su una grande stazione spaziale ruotante attorno a un lontano pianeta: appunto, Solaris, un mondo alieno tutto coperto da un oceano cui, per certi incongrui eventi, sembra si possa attribuire una proprietà vitale, creatrice come una «sostanza pensante». C'è di più: nel «contatto», anche a distanza, con quell'entità ignota, accade che ricordi, desideri, impulsi segreti degli scienziati addetti alla stazione spaziale si incarnino in corpose presenze, in figure ben concrete. Solaris prospetta dunque una storia fitta di sorprese, di enigmatici risvolti con digressioni filosofiche, riflessioni strenue sulla natura, sul destino dell'uomo.
Tutte cose, queste, che nel clima di imperante «realismo socialista» di stampo zdanoviano, procurarono a Tarkovskij e al suo film traversie prolungate e penose. A rigore, quindi, la matrice prevalente della narrativa di Stanislaw Lem risulta la cifra fantascientifica, tradizionale o simbolica che sia, dal momento che anche i restanti cimenti letterari dello scrittore polacco sono visibilmente improntati da canovacci avveniristici - L'uomo di Marte, La nuvola di Magellano, L'invasione di Aldebaran, Ritorno all'universo, Racconti sul pilota Pirx, ecc. Ma, va subito precisato che nel variabile svolgersi dei testi ora menzionati sfrigola, sotterraneo, persistente, l'intento di veicolare, insieme al bric à brac tipico della vecchia fantascienza, idee, allusioni di più complesso, denso significato.
Nella produzione letteraria sessantennale di Lem si registra, tra i declinanti anni ’40 e la prima metà dei ’50, la più caratterizzata «trilogia» dal titolo Tempo non perduto, opera con la quale lo scrittore dà conto - tramite il ricorrente personaggio del dottor Trzyniecki - delle dolorose esperienze vissute da lui medesimo (di origine ebraica, combattente della resistenza antinazista) durante il periodo tragico dell'occupazione tedesca della Polonia e della criminale distruzione del ghetto di Varsavia. Di quella stessa trilogia è parte integrante L'ospedale dei dannati, riscoperto e mai pubblicato a sé stante (neanche in Italia). Si tratta di un testo di impervio nitore e rigore ove si ripercorre la storia, in piena dominazione nazista, di un’enclave tutta particolare - un manicomio governato da un brutale, cinico direttore - in cui pazienti e dottori sono costantemente sotto la minaccia di essere sterminati quali sospetti ebrei, mentre tutt’attorno nell’aura di un'algida, inerte cosmogonia si fa il computo refrattario delle vicende devastanti di questo inferno tutto contiguo, stralunato.
Ora, L'ospedale dei dannati è in uscita anche nel nostro Paese nell'appassionata, sagace traduzione di Vera Verdiani per conto dell'editore Bollati-Boringhieri ed è certo, questa, l'occasione migliore per aggiornare per Lem il ruolo di scrittore esclusivamente di fantascienza con quello di autore a pieno titolo di più sostanzioso spessore e indiscriminata sapienza letteraria. Per dirla col vecchio Voltaire, leggendo L'ospedale dei dannati si può convenire con piena liceità sul fatto che «ci sono due tipi di immagini, una che consente nel trattenere solo una semplice impressione degli oggetti, l'altra che lavora sulle prime e le combina in mille maniere».
Non è un caso che l’ordito narrativo de L'Ospedale dei dannati proceda proprio su una traccia «binaria» di ciò che sembra accadere e di ciò che verosimilmente accade in modo effettuale. Persino l'inopinato, insulso happy end che conclude questo romanzo terribile sembra soltanto tale - «La curiosità di sapere lo abbandonò per un attimo, tra le braccia di quella sconosciuta, Stefan ritornò candido e intatto come al momento della sua nascita» - poiché, a conti fatti, si dimostra soltanto un’intollerabile, impudente mistificazione.

Ma quanto ammaestratrice, peraltro.

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