PAROLA_LETTORI

la stanza di Mario CerviIl linguaggio calcistico dei politici fa sempre autogol

Da un po' i concorrenti alle poltrone imbottite di raso rosso esternano le proprie idee con linguaggio calcistico. Non sostengono la bontà delle proprie soluzioni con adeguati argomenti di logica, ma vanno all'attacco delle idee degli avversari, considerati non concorrenti ma nemici da battere e non certo per «il bene del Paese», ma proprio: vinco io, dice uno, no vinceremo noi, rispondono gli altri. Senza contare che talvolta si passa agli insulti o ai gesti osceni, se non agli spintoni. L'obiettivo è sempre lo stesso: salvare la poltrona. Ma per questi campioni non c'è arbitro che possa dar loro una punizione esemplare. Solo qualche «richiamo» con annesso scampanellio del presidente della Camera!
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Il linguaggio calcistico non ha invaso soltanto gli ambienti della politica. Li ha invasi tutti. Le similitudini attinte dalle cronache calcistiche sono efficaci e facilmente capite. Se uno chiama in causa, per illustrare l'azione di un politico, i gol di Mario Balotelli illustra il proprio pensiero molto meglio di chi chiami in causa Virgilio o Copernico. Il linguaggio pallonaro non cincischia, arriva subito al dunque. L'autogol d'un ministro rende l'idea della sua incapacità molto meglio di tante forbite spiegazioni. Non parliamo poi di quando il termine è molto più greve di autogol. Ci voleva un genio come Gianni Brera per compiere un'operazione opposta a quella corrente. Ossia non per rendere volgari le espressione della vita d'ogni giorno adeguandole alla parlata pesante delle curve, ma per nobilitare con riferimenti colti quella realtà sboccata. Da lì gli «abatini» che associano le scurrili intemperanze di giocatori e spettatori a salotti settecenteschi. Non è che in questi incontri e scontri politici manchi l'arbitro. L'arbitro è il cittadino elettore che dovrebbe sanzionare, con il voto, il livello degradato di certe polemiche. Non so nelle urne.

Ma nei talk show l'urlo, la tracotanza, la rissa hanno successo.

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