Storia

Caso Jfk, l'agente della scorta presidenziale: "Non fu un proiettile magico"

L'ex agente del Secret service Paul Landis oggi ha 88 anni: a quasi 60 dalla morte di Jfk, pubblica un libro di memorie che contesta la versione ufficiale della commissione Warren

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È il 22 novembre 1963, ore 12.30 locale, quando l'allora presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy viene assassinato mentre viaggiava in corteo a Dallas, Texas, in compagnia della moglie Jacqueline, del governatore John Connally e la moglie di quest'ultimo a bordo della limousine presidenziale. Kennedy venne colpito da due proiettili di fucile, uno alla base del collo e uno alla testa, e dichiarato morto poco dopo l'arrivo al Parkland Memorial Hospital. Lee Harvey Oswald, ex marine 24enne, venne accusato dell'omicidio del presidente, ma due giorni dopo Oswald fu a sua volta ucciso con un colpo di pistola da Jack Ruby, proprietario di un locale notturno con legami con la malavita, nel seminterrato di una stazione di polizia di Dallas.

Una commissione presieduta dal presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti, Earl Warren, stabilì in seguito che né il cecchino né il suo assassino "facevano parte di una cospirazione, nazionale o straniera, per assassinare il presidente Kennedy", ma che Oswald aveva agito da solo. La Commissione Warren, tuttavia, non fu in grado di spiegare in modo convincente tutti gli aspetti della vicenda e il movente dell'assassinio. Questo, almeno, è ciò che racconta la versione ufficiale della morte di John F. Kennedy, mentre miti e leggende sulla sua morte si sono susseguiti nel tempo. Con alcune profezione che prevedono addirittura un suo ritorno in vita per riportare la giustizia sulla Terra.

Il super testimone rompe il silenzio

Sono passati quasi 60 anni dalla tragica morte di Jfk. Paul Landis - mai interrogato dalla commissione Warren - è uno degli agenti del Secret Service, gli "angeli" del Comandante in capo, che si trovava a Dallas quel giorno, a pochi morti dal presidente Usa. Ricorda il rumore del primo sparo: per un istante, rivela il New York Times, ero convinto che si trattasse di un petardo o di una gomma esplosa. Ma si trattava di una vana speranza. Ora, 60 anni dopo, Landis racconta la sua versione dei fatti, per intero, proprio al New York Times, confermando i dubbi sulla versione ufficiale. Per Paul Landis la morte di John F. Kennedy rappresentò un momento drammatico, che voleva lasciarsi alla spalle. In una parola, dimenticare.

Riprese in mano le carte, si è però reso conto che ciò che racconta la versione ufficiale dei fatti non corrisponde a ciò che ricorda lui di quel giorno. E ha così deciso di raccontarlo in un libro di memorie che verrà pubblicato a breve. "Il racconto di Landis - scrive il New York Times - incluso in un libro di memorie di prossima pubblicazione, riscriverebbe in modo importante la narrazione di uno dei giorni più sconvolgenti della storia americana moderna".

Cosa non torna nella morte del presidente Usa

Nessuna "teoria complottista", assicura Landis: a 88 anni, ha sottolineato, tutto ciò che vuole è raccontare ciò che ha visto con i suoi occhi. Lascerà agli altri il compito di trarre delle conclusioni. Landis, in particolare, mette in dubbio la teoria del cosiddetto "proiettile magico" che, stando alle conclusioni della commissione Warren, riuscì a infliggere in totale sette ferite a Kennedy e al governatore John Connally, rimanendo integro. In realtà, ha spiegato Landis, è stato lui a trovare il proiettile - e non lo ha trovato in ospedale vicino al signor Connally, ma nella limousine presidenziale - conficcato nello schienale del sedile dietro a quello in cui era seduto Kennedy. L'ex agente del Secret Service spiega racconta di essere entrato in ospedale e di aver messo il proiettile che lui stesso aveva trovato accanto a Kennedy sulla barella del presidente, supponendo che potesse in qualche modo aiutare i medici a capire cosa fosse successo.

A un certo punto, ipotizza, le barelle devono essere state spinte insieme e il proiettile è stato spostato da quella di Jfk a quella del governatore Connally. La Commissione Warren arrivò invece alla conclusione che uno dei proiettili sparati quel giorno colpì il presidente da dietro, uscì dalla parte anteriore della gola e continuò a colpire Connally, riuscendo in qualche modo a ferirlo alla schiena, al petto, al polso e alla coscia. Non secondo Landis, che ora dubita comincia a dubitare anche di quella che un tempo reputava una certezza: davvero Jfk fu ucciso da Lee Harvey Oswald senza la complicità di nessun altro.

"Comincio a dubitare di me stesso", spiega, gettando ombre e interrogativi sulla morte di un uomo simbolo del Novecento.

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