Storia

Veltroni & C., la sinistra italiana che sognava i Kennedy e si ritrovò Renzi

La sinistra italiana subì una duratura infatuazione per i Kennedy, cedendo a un falso mito mediatico più che a una verificata dottrina politica: John non era un liberal e un progressista

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In fondo l’innamoramento di una certa sinistra italiana per Kennedy è l’esempio di come politici e intellettuali liberal ma non liberali - quel vecchio pezzo del Pci che a un certo punto cominciò a venerare il Presidente americano come padre putativo del nostro centrosinistra - siano stati disposti a perdonare a JFK tutto ciò che rinfacciavano ogni giorno a Berlusconi. Il debole per le starlette, il sesso, l’inguaribile desiderio di piacere, il machismo, la ricchezza, gli ambigui rapporti con la mafia...

Al di là della battuta giornalistica, è vero che la sinistra italiana subì una duratura infatuazione per i Kennedy, cedendo a un falso mito mediatico più che a una verificata dottrina politica. Bob e Ted forse no, ma John non era un liberal e un progressista, semmai un old democrat, con sinceri tratti conservatori. Ma tant’è. Ci fu un momento in cui da noi la sinistra, prima che la destra si mettesse in cammino per la Terra di Mezzo, si rifugiò nella magica Camelot.

Il capostipite del kennedismo post-comunista è stato, of course, Walter Veltroni; ma lui non guardava a John, ma a Robert, la testa politica della famiglia. Quando divenne primo segretario del nascente Pd, nel 2007, teorizzò la costruzione di un partito basato sul mito di Bob Kennedy; ma già dieci anni prima, da direttore dell’Unità, aveva appeso dietro la scrivania la foto di Robert che cammina col suo cocker spaniel sulla spiaggia di Hyannis, Massachusetts... Del resto Veltroni, che non è mai stato un comunista in senso compiuto, era cresciuto a figurine Panini, Beatles, Snoopy, Coca-Cola e il portfolio fotografico di Paul Fusco, quel Funeral Train che eternò il giorno in cui l’America rese omaggio al presidente assassinato a Dallas.

Erano quelli gli anni in cui JFK, in missione trionfale nel nostro Continente, infiammava le piazze europee col suo «Ich bin ein berliner». Erano gli anni in cui la sinistra cattolica, sotto il magistero di Papa Giovanni XXIII, ritagliava le biografie dei Kennedy che riempivano le pagine dei settimanali popolari e avevano nella credenza i piatti-souvenir con l’effigie dei due fratelli, caduti nell’adempimento della loro fede politica: a loro modo dei martiri.

Erano gli anni in cui un altro kennediano ad honorem arrivato dalla sinistra profonda, Furio Colombo, viveva a New York, scriveva per il Mondo e L’Espresso, frequentava la Casa Bianca, conosceva il Presidente e il suo entourage e già rimpiangeva un’età d’oro della politica americana che non sarebbe più tornata. Il sogno diventò una illusione.

Ed ecco la storia della sinistra italiana che ha celebrato «i fratelli che volevano cambiare il mondo» e alla fine si è ritrovata Renzi.

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