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Le strade bianche del Chianti che la bici ha salvato dal cemento

L'Eroica era una gara riservata alle due ruote di un secolo fa Ora è una Fondazione: vuole tutelare il paesaggio toscano

Le strade bianche del Chianti che la bici ha salvato dal cemento

L'Eroica che si corre ormai da vent'anni sulle strade bianche del Chianti in Toscana non è solo una corsa di biciclette ma tante cose insieme. È un tuffo a ritroso nel tempo, un presidio ambientale che ha permesso di mantenere sterrate le strade e intatte molte delle zone che fanno della Toscana la Toscana delle cartoline. È una Woodstock del ciclismo d'epoca. Una serie d'emozioni senza età dove tutto torna per magia in bianco e nero, dove le maglie sono ancora quelle di lana grossa, i cambi sulla canna, le borracce attaccate al manubrio e le gomme di scorta arrotolate sulle spalle. È il ciclismo che fu, quello della polvere, delle facce antiche e delle mani grosse, dei «ciao mamma» e delle gag dei campioni al musichiere. Bartali e Coppi, Gino e Fausto due pezzi d'Italia una contro l'altra un po' per gioco e un po' sul serio, in un testa a testa che è diventato storia e che riporta con un filo di malinconia alle dolci polemiche di un tempo. Oggi è tutta un'altra storia.

L'Eroica che si corre da vent'anni sulle colline della Toscana, rigorosamente con le bici di una volta, è fatta di 200 chilometri a ritroso nella storia. Duecento chilometri di strade sterrate che da Gaiole in Chianti alla val d'Arbia, alla val d'Orcia arrivano fino a Montalcino passando tra casali e vigneti. Sono diventati anche un modo per salvarle. Per preservare un patrimonio che i sindaci avrebbero volentieri sacrificato al progresso. Che significa asfalto, forse strade più veloci, traffico, urbanizzazione con tutti e pro e tutti i contro che comporta. È successo così ovunque e sarebbe dovuto succedere così anche da queste parti che però, anche grazie a dei ciclisti nostalgici e un po' fissati, sono rimaste ferme nel tempo. Così l'Eroica è diventata anche una fondazione per la salvaguardia del patrimonio di strade bianche della Toscana. E di «resistere», come va di moda dire adesso, è valsa la pena, visto che anche per questo ora la zona è meta di appassionati e turisti. «Tanti anni fa - ricorda Giancarlo Brocci, il fondatore della corsa - la volontà degli amministratori era quella di asfaltare. Anche in Toscana. Si pensava fosse un passo avanti, in realtà per certe zone di pregio naturalistico e culturale era una scelta miope. Noi ci siamo battuti perché quelle strade restassero sterrate, simbolo e risorsa di una zona che poteva proprio così sviluppare un turismo che allora era all'inizio ma che si capiva che aveva potenzialità enormi». È sempre facile dirlo dopo, ma così è stato.

Le strade bianche della Toscana sono diventate il segno distintivo di un angolo di paradiso dove gli stranieri fanno la fila per godersi i filari di Chianti e di Montalcino. È una febbre che cresce, una formula che funziona. E l'Eroica incarna un po' tutte queste cose: «Piace perché permette di riscoprire luoghi intatti e tradizioni - spiega il riminese Alberto Gnoli, amministratore delegato di Italy Bike Hotels e uno dei responsabili del consorzio di privati che ha rilevato il marchio della corsa nata vent'anni fa - ma anche perché riporta ai valori della fatica e della condivisione che oggi ci siamo un po' dimenticati. E poi è un italian style che si esporta con facilità, tant'è che stiamo pensando anche di aprire dei caffè con il brand Eroica. Il primo potrebbe essere a Milano...». La corsa è il sogno nel cassetto di migliaia di appassionati. Soprattutto stranieri. Così tra gli oltre sei-settemila che partono, oltre mille arrivano dall'estero, da 32 Paesi dove il ciclismo italiano ha ancora il marchio doc di un fascino che è rimasto intatto. «Il ciclismo siamo noi e le bici che hanno fatto la storia anche...» dicono gli organizzatori con un pizzico di nazionalismo anche quello oggi un po' «eroico». Così la manifestazione è diventata un business che si è moltiplicato negli anni quasi come i pani e come i pesci.

C'era una volta solo l'Eroica di Gaiole, oggi ce ne sono altre otto, dalla California al Sudafrica fino al Giappone, dalla Spagna all'Inghilterra fino al Belgio e al Sud America. È un made in Italy che funziona e che esportiamo, un business stimato intorno ai 5 milioni di euro solo nel Chianti. Un tuffo indietro nel tempo che proprio sulla breccia di strade che collegano poderi a poderi, casali a casali, paesi a paesi è diventato la scelta giusta per garantirsi anche un futuro. Ma non è solo poesia. Da una costola dell'Eroica è nata anche Le strade bianche, una classica del ciclismo professionistico famosa nel mondo che aggiunge prestigio ed è un sigillo a ciò che Brocci e compagni avevano cominciato vent'anni fa. «L'Eroica si sostene tranquillamente da sé - spiega Brocci - ma è chiaro che portare in corsa i professionisti serve a stabilire definitivamente che questo patrimonio di strade va difeso e servirebbe anche a ridare linfa a un ciclismo che oggi è sempre più uguale e meno appassionante. Mentre gli sterrati sono un elemento tecnico che fa la differenza e colpisce l'immaginario dei tifosi». Borghi e poggi da pedalare e da sudare, perché alla fine la fatica è sempre la stessa. Addio barrette e integratori. Tanti anni fa non c'erano e anche i campioni facevano rifornimento con un bicchiere di vino e un piatto di ribollita. Qui non si prende qualcosa al volo ma ci si siede in compagnia a mangiare: il migliore modo di correre lontano da quella che per gli organizzatori è la «malattia» dell'agonismo. «In un ciclismo che forse va troppo veloce - racconta Brocci - l'idea era quella di riproporre i valori eroici di Bartali e Coppi, i bisogni veri, il sacrificio, la lealtà, uno sport meno esasperato con atleti sani e belli da guardare, nuovi modelli di vita...».

Presente e futuro e un po' di passato perché da qui sono passati in tanti di quelli che hanno pedalato per raccontare pagine di storia. E tornano. Da Felice Gimondi a Francesco Moser, da Italo Zilioli a Franco Bitossi il cuore matto che tutti ricordano per una sconfitta, quel mondiale a Gap, il 7 agosto del 1972, svanito di un soffio con il traguardo che non arrivava mai e Marino Basso che lo passò a un metro dalla gloria. Da Erik Zabel a Silvano Contini, da Peter Thaler, a Gigi Sgarbozza ed altri ancora. Tanti. Tutto come un volta. Per una pagina di poesia scritta con la bicicletta che pedalata dopo pedalata ha conservato un pezzo di Toscana com'era.

E ora se la gode.

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