Controcultura

Sulle tracce colorate del vero "writing"

Lo scrittore Vanni Santoni, autore di «Dilaga ovunque» (Laterza) è solito miscelare il saggio a stilemi da romanzo

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Sulle tracce colorate del vero "writing"

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Spiazzante e accurato, procede per libere associazioni tra fotografie d'epoca, ritagli, immagini. Pare un flusso di pensieri, con parecchi puntini di sospensione, molte domande e qualche esclamazione, un tu generico che all'inizio infastidisce e poi conquista. È bello e insolito quest'ultimo libro di Vanni Santoni Dilaga ovunque (pagg. 144, euro 16) edito da Laterza, che già in passato aveva pubblicato altri due saggi dello stesso autore dedicati alle sottoculture (quella dei free party e quella dei giochi di ruolo).

Qui Santoni si muove nel mondo dei graffiti e della street art, che sottoculture sono sì state ma che da tempo sono sdoganate nei musei, nelle fiere, nelle aste. Eppure, paradossalmente, hanno perso per strada veri spazi di libertà e indipendenza. È la lettura perfetta per riflettere su Basilea (città che compare fin dalle prime pagine) in cui si è appena celebrata la regina delle fiere d'arte, quell'Art Basel che ha radunato 285 gallerie provenienti da 36 Paesi e che tanto per restare in tema di spazio occupato proprio quest'anno ha affidato alla franco-marocchina Latifa Echakhch un'installazione tentacolare sulla Messeplatz.

A metà tra il romanzo e il saggio, scandito da un tono colloquiale in molti passaggi contrappuntato da ineccepibili referenze (utile anche la bibliografia), Dilaga ovunque si presenta come il diario di bordo di un autore che naviga con passione viscerale tra le onde del writing, dei graffiti e della street art. Con Basquiat celebrato ovunque (a proposito: sempre a Basilea, alla prestigiosa Fondation Beyler, si apre in questi giorni la mostra-gioiello The Modena Paintings, con lavori da lui realizzati nella città emiliana nell'estate del 1982), Banksy ridotto a evanescente social-giustiziere, JR corteggiato a Hollywood e Tvboy pronto a graffitare per poi subito postare la news del giorno, la street art ci appare oggi un fenomeno iper-accomodato, quasi un arredo urbano (spesso utile a generare gran traffico sui social).

Vanni Santoni ci riporta alle sue origini eversive, alla carica dissacrante degli inizi: non a caso il volume si apre con l'immagine di writers che scavalcano un cancello e che taggano con le loro firme le carrozze dei treni, con il fiato sospeso che qualcuno li colga sul fatto. Tra storia vera e narrazione (mai piegata al facile storytelling) Santoni ripercorre la nascita dei primissimi graffiti, nei primi tre decenni dell'Ottocento, e la loro affermazione negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, quando bande di ragazzini cominciano a ri-nominare (ché questo è il tag: una firma, una forma di appropriazione) interi quartieri degradati di Philadelphia e New York. Arte clandestina, notturna, pericolosa: bisogna inventarsi ogni volta nuove tecniche, sopportare gli odori tremendi e malsani della vernice, essere veloci e precisi per dribblare la polizia. Arte che riscatta gli spazi, che rende visibili intere fasce di invisibili. Arte che usa lo spray ma sa sfruttare a dovere anche i semplici stickers sui muri. E che approda presto dalle nostre parti, grazie alle felici intuizioni della mai troppo compianta Francesca Alinovi (1948-1983), quando a Bologna il Dams degli anni '80 faceva davvero il Dams. Tra pagine dedicate alle prime bombolette (mentre oggi i writers hanno a disposizione scaffali interi di materiali) e un racconto che saltabecca tra New York e Londra e l'Europa, Santoni definisce la street art una forma di rivendicazione universale (perché tutti possono scrivere su un muro) che, per rimanere sé stessa dovrebbe mantenere l'adrenalina e i sensi all'erta.

Un po' come ai suoi veri inizi, tra i graffiti delle caverne preistoriche.

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