Controcultura

Tanti canali, due televisioni: la preistorica e quella smart

Laura RioFrammentazione? Se fossimo ancora allo stadio della frammentazione, il pubblico televisivo sarebbe ancora in buona condizione. Ma la frammentazione si è talmente frammentata da generare il contrario: la coesione. Invece di tante particelle, si sono creati due macro poli: gli spettatori che fruiscono della tv tradizionale e quelli che conoscono due soli concetti: on demand e streaming. In questi anni si è molto parlato del digitale, della parabola, di internet e della fibra ottica che hanno creato infinite possibilità di trasmissione (per capire la tv leggete l'ultimo libro di Carlo Freccero, Televisione, Bollati Boringhieri editore). Ma pensateci bene: alla fine, cosa ha portato tutto questo? All'allargamento della faglia che divide la società: la parte più povera culturalmente ed economicamente che continua a vedere la tv classica (fatta dai canali generalisti Rai e Mediaset) e la parte più giovane, più colta, più ricca, che guarda solo i servizi on demand di Sky e Mediaset (Infinity) oltre a Netflix. Insomma, la disuguaglianza sociale rispecchiata nella disuguaglianza digitale: chi ha i soldi, ha la smart tv e non ci pensa proprio ad aspettare l'inizio dello show di Carlo Conti, guarda i suoi programmi preferiti quando vuole, dove vuole, sul device che gli pare. Per anni le due parti, immaginate in due cerchi, si sono sovrapposte in ampi spicchi. Nel tempo, questi spicchi si sono sempre più assottigliati, fino ad arrivare a lambirsi sporadicamente: per eventi come la Nazionale di calcio o Sanremo. Attualmente le famiglie italiane che si possono permettere la pay tv sono circa il 35 per cento, percentuale destinata a crescere. Queste sono le titolari del concetto di frammentazione.

Le altre, in schieramento coeso, restano abbarbicate alla tv preistorica.

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