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Un team di donne ranger a caccia di bracconieri

Si chiamano Black Mambas e vigilano il famoso Kruger Park per difendere elefanti e rinoceronti

Un team di donne ranger a caccia di bracconieri

A Balule, nella regione sudafricana del Limpopo, la pattuglia esce in strada in leggero ritardo. Durante la stagione delle piogge è il cielo a stabilire gli orari di lavoro, ma quando la tempesta si placa Leitah e Felicia possono finalmente salire sul fuoristrada e accendere il motore. Sulla giacca della mimetica si staglia uno scudo che descrive l'attività e l'importanza della missione: una testa di rinoceronte circondata da due serpenti velenosi. Sono le 18.30 di un pomeriggio di primavera inoltrata e le Black Mambas si apprestano a sorvegliare la notte sudafricana. Leitah e Felicia fanno parte di un battaglione di una cinquantina di donne che proteggono rinoceronti, elefanti e animali selvatici dai bracconieri 24 ore su 24. La prima unità anti-bracconaggio al femminile in Sudafrica è stata fondata nel 2013 con il sostegno dell'Ong Transfrontier Africa. La brigata ha scommesso su un'alternativa ai dispositivi convenzionali: meno testosterone e meno armi pesanti, ma con la medesima licenza di neutralizzare i cacciatori di frodo. Da Balule inizia una riserva naturale di circa 56mila ettari, delimitata a nord dal fiume Oliphant e aperta verso est al famoso Kruger Park. I rangers sono donne, tutte provengono da comunità locali svantaggiate. «Le nostre famiglie erano scettiche - spiega Leitah, 28 anni, che è stata promossa a supervisore un anno fa - ai loro occhi sorvegliare da un cespuglio in divisa militare non poteva essere considerato un lavoro da donna. Abbiamo dimostrato il contrario e ne siamo orgogliose».

Il lavoro da svolgere ogni giorno è immenso a causa della superficie da pattugliare. Il Kruger Park e le sue riserve private coprono un territorio delle dimensioni della Lombardia. Il Sudafrica, che ospita quasi l'80% dei 29mila rinoceronti che ancora popolano il pianeta, è in prima linea per salvaguardare la razza. Nel 2017, 1028 esemplari sono stati uccisi, in media tre al giorno, secondo i dati del governo. Erano appena 13 dieci anni prima. La polvere di corno viene venduta sul mercato nero fino a 50mila euro al chilo, più del prezzo dell'oro o della cocaina. Tutta colpa di una certa medicina tradizionale cinese, che ritiene che il corno trattato sia un potente afrodisiaco. Per ottenere il quale si spendono cifre vertiginose e si reclutano e si armano bracconieri pronti a tutto. Naturalmente si tratta di una credenza del tutto ingiustificata: il corno di rinoceronte è fatto di cheratina, la stessa sostanza di cui sono composte unghie e capelli, priva di qualsiasi capacità di migliorare le perfomances sessuali.

La missione delle Black Mambas è doppiamente pericolosa, spesso si trovano tra l'incudine e il martello: da un lato del recinto ci sono gli animali selvatici, dall'altro, il loro più grande predatore, l'uomo. Con quest'ultimo i confronti diretti sono rari ma ogni volta rischiosi. «In realtà - racconta Felicia, 27 anni - gli animali sono più pacifici e noi sappiamo come vivere in mezzo a loro. Lavoriamo dodici ore di fila, trascorrendo le notti sotto le stelle, sul terreno che condividiamo con ragni, serpenti e scorpioni. Niente telefono, niente doccia, pochissimo cibo e sonno, tutto in mezzo agli animali». Nella boscaglia, una regola prevale su tutte le altre: non scappare mai. I bracconieri vanno affrontati sempre. Fare retromarcia col fuoristrada, voltare le spalle o correre significa diventare una preda come animali, rischiando di morire. Le Black Mambas hanno imparato a mantenere la calma e a usare le armi solo per lo stretto necessario. «Mi rendo conto che essere armati significa diventare un bersaglio, ma il faccia a faccia con i bracconieri innesca il più delle volte uno scontro a fuoco», ricorda Felicia. Nessuno vorrebbe togliere la vita a qualcun altro, ma la protezione degli animali contro persone prive di ogni scrupolo diventa prioritaria. «Il nostro lavoro è vedere ed essere viste - rammenta Leitah - i bracconieri devono sapere che siamo qui, dietro la recinzione, giorno e notte. Quando le superano, le Mambas mordono».

I risultati sembrano dare ragione al loro lavoro. Da maggio 2014 il numero di trappole posizionate dai bracconieri è diminuito del 97%. Difficile frenare in maniera sensibile i cacciatori che sparano: sono diminuiti a oggi del 17%, ma le giovani rangers sono convinte che il loro progetto pagherà a lungo termine.

La vita delle Black Mambas richiede sacrifici, l'intimità è uno di questi. Le giovani donne, che lavorano per tre settimane di seguito e poi ricevono 10 giorni di ferie, vivono nelle immediate vicinanze del parco. «Nei momenti di pausa ci guardiamo l'un l'altra - dice Lukie, 34 anni, una delle veterane del gruppo - Parliamo di famiglia, amori, battaglie della vita quotidiana. Resta da gestire l'assenza di parenti, che provoca un forte senso di nostalgia». A Balule la famiglia e la coppia sono una rarità che può essere assaporata solo ogni ventun giorni. Essere Black Mambas non proibisce di essere madre. Dal 2013 una dozzina di bambini sono nati tra le truppe. Uno di loro ha emesso i primi vagiti nella boscaglia, sua madre aveva voluto lavorare fino alla fine. Leitah è mamma di un bambino di 7 anni, Clayton. «Devo badare a lui. La mia famiglia è povera. In Sudafrica il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 27% nel 2018, superando il 50% per quelli sotto i 34 anni di età come me. Devo pagare la rata per la sua scuola. Voglio che Clayton sia istruito e che non debba svolgere un lavoro pericoloso come il mio». In Sudafrica un ranger percepisce l'equivalente di 400 euro al mese in base al ruolo e agli anni di servizio. Lo stipendio delle Mambas non raggiunge i 250 euro. Leitah ne paga 150 per la rata della scuola. «Se si pensa che per ogni corno di rinoceronte consegnato un criminale può ricevere fino a 5mila euro è facile capire perché ci siano ancora così tanti casi di bracconaggio in Africa - ammette - ma noi non ci arrendiamo.

Siamo più velenose dei serpenti stampati sulle nostre mimetiche».

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