Cultura e Spettacoli

TELETRASPORTO Siamo già in viaggio

Samuel Braunstein, autore di un esperimento di teleclonazione quantistica, illustra la nuova frontiera. Non più ai limiti della fantascienza...

Se Einstein non avesse dimostrato già più di cento anni fa che la velocità massima raggiungibile nel nostro Universo è quella della luce, potremmo dire che il teletrasporto è una sorta di trasporto incorporeo «istantaneo». Ma siccome c’è di mezzo la teoria della relatività generale, allora accontentiamoci di questa definizione: il teletrasporto è una sorta di «trasporto incorporeo». L’istantaneità non sembra sia possibile: in mezzo ci deve essere almeno il tempo necessario alla luce per raggiungere la nuova destinazione dove si ricrea il corpo.
IL TELETRASPORTO È GIÀ NELLE NOSTRE CASE
Sembrerà assurdo ma si può dire che noi sperimentiamo già diverse forme di teletrasporto nella nostra vita quotidiana. Tre esempi banali sono il telefono, con il trasporto di onde sonore ed elettricità; il fax, con il trasporto di un’immagine; il World Wide Web, con il trasporto dell’uno e dell’altro. Ma possiamo davvero parlare di reali processi di teletrasporto? Li possiamo davvero calcolare come tali? In realtà sono processi di copiatura: le macchine catturano un suono, una immagine, o quello che si vuole, e poi ne spediscono una copia «sparandola» attraverso lo spazio in qualche forma incorporea. Insomma, possiamo davvero considerare queste macchine come se fossero vere e proprie macchine per il teletrasporto?
La tv ci permette di assistere a un altro spettacolo classificabile come teletrasporto: macchine che misurano la posizione, la velocità e il tipo di atomi che compongono un intero corpo, e che poi spediscono queste informazioni (di solito attraverso onde radio) in un altro luogo, dove il corpo viene ricostruito in maniera identica da un’altra macchina.
Viene però da chiedersi: che cosa è successo al corpo originale? Può darsi che la macchina incaricata di esaminare i singoli atomi l’abbia nel frattempo fatto a fettine, un po’ come una fotocopiatrice che vaporizzi con il suo lampo caldissimo l’originale producendone però poi una copia fedele. Ma questo non è assolutamente necessario.
Potrebbe esserci un processo di copiatura più gentile in grado di lasciarsi dietro un originale. Qualcuno allora potrebbe essere interessato a trovare questo originale? Qualcun altro potrebbe decidere di farci pagare le tasse sulla copia nel caso che l’originale restasse in circolazione. Per non parlare del fatto che tutto questo potrebbe diventare un campo di ricerca per una sorta di nuova «religione sperimentale». L’anima, nel caso, potrebbe essere copiata?
IL PROBLEMA È LA CAPACITÀ DI CALCOLO
Prima di parlare di teletrasporto bisogna superare uno scoglio teorico: il principio di indeterminazione, uno dei pilastri della fisica del ’900 e in particolare della fisica quantistica. Noi, se vogliamo teletrasportare un corpo, dobbiamo sapere come è, dove è, e a quale velocità si sta muovendo.
Bene, non mi dilungherò sulle formule che descrivono il principio di indeterminazione, ma parlerò solo delle sue conseguenze: se voglio misurare ogni atomo definendone la sua dimensione, allora significa che avrò una inevitabile incertezza sulla sua velocità. Una incertezza calcolabile in 300 metri al secondo, se la particella in questione supera la grandezza di un atomo di idrogeno. Suona un po’ male, è vero. Sembra suggerire di lasciar perdere. Eppure non è così male. La normale, ordinaria oscillazione degli atomi che compongono il nostro corpo, a temperatura ambiente, è più grande di un fattore tre (o addirittura di più) rispetto a questa incertezza. Quindi, il principio di indeterminazione non sembra un ostacolo insormontabile rispetto alla possibilità di teletrasportare un corpo umano.
Il vero problema, molto pratico, sembra venire da un’altra parte. E in particolare da una domanda apparentemente secondaria: quanto «pesa» l’informazione totale su un corpo umano?
Per cercare di capirlo, partiamo da una pietra di paragone. Il «Visible Human Project», promosso dall’American National Institute of Health, è un progetto per rendere visibile l’intero corpo di un essere umano e prevede una risoluzione tridimensionale che arriva fino a un millimetro in qualsiasi direzione. Bene, questo progetto per essere realizzato richiede più o meno 10 Gigabytes, il che significa il numero non banale di 100,000,000,000 di bit, di segni «zero» o «uno». Una quantità che comunque può essere contenuta in una decina di cd rom.
Ma se noi volessimo ottenere una risoluzione che equivale al diametro di un atomo in qualsiasi direzione, allora avremmo bisogno di una quantità di bit che si scrive così: 1.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000. Si può dire questa cifra anche così: 10 seguito da 32 zeri.
E non abbiamo ancora stabilito dove esattamente gli atomi siano e a che velocità si muovano.
Già così, comunque, abbiamo più informazione di quanto sia possibile trasmettere con una fibra ottica in un centinaio di milioni di anni. Nel caso volessimo mettere tutto in cd rom ci servirebbe una quantità pari a un cubo di 1.000 chilometri di lato costituito tutto da questi dischi argentati. Quindi possiamo provare a immaginare alcuni scenari tipici della fantascienza: viaggio nel tempo; teletrasporto di oggetti e viventi alla velocità della luce; viaggi spaziali oltre il sistema solare; capacità di prevedere attraverso il calcolo i comportamenti delle collettività umane (se non quelli individuali). Ma alla fine il problema trova un imbuto, un intoppo: la capacità della tecnologia di reggere l’enorme quantità di calcolo che è necessaria per questi scenari.
Certo, le cose cambiano sotto i nostri occhi. Oggi abbiamo potenze di calcolo che, nelle punte massime, si aggirano attorno al petaflop, cioè l’equivalente di milioni di miliardi di calcoli al secondo. Ma torniamo al nostro nodo: a quale potenza occorre arrivare per poter pensare di gestire fenomeni fisici così complessi come il teletrasporto?
IN ATTESA DEL COMPUTER QUANTISTICO
Come abbiamo visto, le conoscenze attuali permettono già una forma di teletrasporto. Ma, ahimè, solo di oggetti molto semplici come una particella, un fascio di luce o le informazioni relative allo stato di un sistema atomico molto semplice. Oltre, non sappiamo andare.
Anche il teletrasporto di un virus o di un batterio sembra al momento al di fuori delle nostre capacità di gestione delle informazioni, di potenza di calcolo.
Quindi, torniamo all’assunto di prima: se potessimo raggiungere un livello di tecnologia tale da poter teletrasportare un essere umano, questo vorrebbe dire che siamo riusciti ad avere un forte aumento della potenza di calcolo e di velocità di comunicazione.
Allora facciamo qualche calcolo. Noi sappiamo a quale velocità viaggia la capacità di calcolo e la relativa velocità dei nostri computer. Questi parametri raddoppiano in capacità e in velocità ogni 18 mesi circa: questa, nell’industria dei computer, è conosciuta come la legge di Moore, dal nome del pioniere che l’ha enunciata all’alba dell’era informatica. Anche se è previsto che questo incremento si fermerà nei prossimi dieci anni, supponiamo che comunque vada avanti. Supponiamo che decennio dopo decennio si mantenga questo tipo di aumento. Beh, ci vorrebbero circa 100 anni prima di avere una potenza di calcolo e una velocità di comunicazione tali da poter teletrasportare un essere umano. Così anche se sono il più possibile ottimista, non credo che questo possa accadere prima di un secolo da oggi.
Certo, abbiamo forse un asso nella macchina che è la cosiddetta «quantum computation», un progetto che viene portato avanti da almeno venti anni e che dovrebbe sfociare in computer quantistici. Guardiamoci dentro, allora, a questo progetto.
Così come i computer ordinari raddoppiano la loro complessità, velocità e potenza in un intervallo di tempo che va da circa un anno a 18 mesi, così la spinta tecnologica ha raggiunto la stessa crescita nella quantum computation.
Per un computer quantistico raddoppiare la complessità corrisponde ad aggiungere solo un bit quantistico (qubit). Noi abbiamo aggiunto circa un qubit l’anno da quando gli esperimenti sono iniziati seriamente. Attualmente, ci sono prototipi di macchine che possono mettere in gioco una potenza che va da 1 a 12 qubit.
In questo momento l’obiettivo principale è migliorare il potenziale delle macchine fino a superare la soglia di precisione oltre la quale vi può essere tolleranza degli errori. Dopo di ciò saremo in grado di aggiungere virtualmente qubit senza spese. Le mie stime personali sono che potremmo essere in grado di sorpassare questa soglia una volta costruita una macchina prototipo capace di gestire anche solo 20 qubit. Quindi, la mia aspettativa è che nell’arco di 10 o 20 anni si dovrebbe arrivare ad avere un computer quantistico. Forse prima. Questo potrebbe aiutare il viaggio verso il teletrasporto.
Ma c’è un ultimo elemento scientifico da considerare.
Abbiamo parlato, un po’ sommariamente, del concetto di «quanto». Bene, gli atomi hanno uno «stato quantico» ed è su questo che si basano alcune macchine per la diagnostica normalmente utilizzate in un ospedale, come per esempio la risonanza magnetica nucleare. Ma per ora non sembra che le informazioni ricavate in questo modo siano sufficienti per rimettere in moto le reazioni chimiche necessarie a ricostruire una persona.
Quindi, in realtà, possiamo solo sperare che l’umanità aumenti la sua potenza di calcolo e trovi il modo di organizzare tutte le informazioni necessarie a copiare i nostri atomi, la loro posizione, la loro velocità, le loro caratteristiche.

Ci vorrà tempo ma per ora possiamo ben divertirci con la televisione, che questi risibili problemi li ha già superati.
* Università di York

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