Cinema

Il tempo perduto non si può rimettere in forma

Un classico mélo francese incentrato su un antico amore che torna. E trova tutto cambiato

Il tempo perduto non si può rimettere in forma

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Attore di successo, ma in crisi, Mathieu va in Bretagna per una settimana di remise en forme in una di quelle cliniche alberghiere che, ahimè, ne deturpano il litorale. Ma ci va fuori stagione, quando il turismo è assente, il mare in burrasca uno spettacolo impagabile, non c'è frenesia né frastuono di massa... La sua crisi è professionale, ma non solo. Era tutto pronto per il suo debutto in teatro, ma all'ultimo momento si è tirato indietro per paura di non essere all'altezza, per vigliaccheria anche: di fronte alle responsabilità, confessa a sé stesso, ha sempre preferito prendere la fuga... In più, ha raggiunto i cinquant'anni, ci sono le rughe e i capelli bianchi, si guarda allo specchio e non si piace. Anche la sua vita di coppia non lo soddisfa. Una moglie troppo in carriera, giornalista televisiva, un figlio piccolo che vede poco...

Mentre la remise en forme procede nella sua routine vagamente ecologica (il suo personal trainer lo invita a respirare al ritmo della natura, ma i trattamenti sono tutti affidati alle macchine), un messaggio lasciato alla reception lo distrae dal triste compito di piangersi addosso. È di Alice, la sua ragazza al tempo dei trent'anni, quando la sua carriera era agli inizi. Pianista, italiana che allora viveva a Parigi, il loro è stato un grande amore, poi è tutto finito, e da allora non si sono più rivisti. Alice si è in seguito sposata, si è trasferita lì in provincia, ha una figlia, un matrimonio riuscito, però anche lei è insoddisfatta. Sente di non aver mai fatto abbastanza per sé stessa, la sua vocazione, i suoi talenti, i suoi ideali. In fondo si è lasciata vivere. Quell'incontro, pensa, può essere se non l'inizio di qualcosa di nuovo, il modo giusto per chiudere ciò che è stato. Già, perché allora fu lui a lasciare lei, senza spiegazioni, senza un perché...

Hors-Saison, Fuori stagione, di Stéphane Brizé, ieri in concorso, è una di quelle commedie sentimentali, meglio, uno di quei mélo, in cui i francesi sono maestri. La scelta degli attori, Guillaume Canet e Alba Rohrwacher, è perfetta, i dialoghi sono naturali, la capacità di ritrarre con pochi tratti l'aria che tira, politica, ideologica, è esemplare. Mathieu è perplesso sui prossimi film da girare, un poliziesco e una commedia sociale: entrambi gli sembrano pretenziosi, nonché falsi. La moglie lo sprona saggiamente: il primo, in cui c'è anche un figlio handicappato, piacerà alla sinistra sempre in cerca di deboli in cui identificarsi; il secondo, con la sua critica ai ricchi borghesi, ne soddisferà le pulsioni rivoluzionarie, l'uno e l'altro faranno di lui un attore «impegnato». Quanto ad Alice, suo marito Xavier è medico nonché consigliere comunale. Per i festeggiamenti di un'eroina locale dei tempi di Luigi XIV c'è chi vorrebbe affidarne l'immagine a una ragazza di colore. Xavier è entusiasta dell'idea, vuol dire essere al passo con i tempi, ma è anche preoccupato: teme che siano i tempi a non essere al passo...

Malinconico, il film è una riflessione su ciò che si sarebbe potuto fare e non si è fatto, oppure si è fatto male: scelte, decisioni, percorsi, parole dette o taciute.

È anche però un film sul rendersi conto che in fondo, spesso senza saperlo, era proprio quella la decisione da prendere, anche se non lo si è voluto mai ammettere, specie da parte di chi, allora, ne fu la vittima.

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