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Tommasi: «Ma non fu Moreno a buttarci fuori»

«L’arbitro coi coreani prese decisioni discutibili, ma se io o Vieri avessimo segnato, non ci sarebbero stati problemi»

Paolo Brusorio

da Milano

Mancava solo l'acqua santa. È arrivata, ma non è servita a nulla. Al pari della fortuna, dei fischi del Trap, dei chili di pasta portati da casa, i riti fideistici da panchina del nostro ct si sono arresi davanti a un arbitro ecuadoriano dal cognome ormai indelebile e a un paio di gol divorati dai nostri prodi. Corea-Giappone 2002, mondiali nippocoreani: joint venture commercial-sportiva tra i colossi d'oriente. Allena Giovanni Trapattoni e catalizza l'attenzione, giochiamo un calcio un po' stantio, impazzano le scorribande linguistiche del Trap. Ma il campo è un’altra cosa.
Ci caccia fuori la Corea agli ottavi e ancora una volta è il golden gol a fregarci. Lo segna Ahn, il fantasma di Perugia che Gaucci non rivorrà più in squadra perché colpevole di aver tradito la sua seconda patria. L'arbitro Moreno, tutta ciccia e distintivo, ci prende subito di mira: rigore dubbio dopo tre minuti. Sbagliato. Seguiranno espulsione di Totti, gol annullato (valido) a Tommasi e golden gol orientale. Cornuti e mazziati. Nel frattempo il Brasile vince il suo quinto titolo: Ronaldo, Rivaldo, Ronaldinho. In panchina spunta un certo Kakà. In finale rifilano un 3-0 alla Germania. Kahn, miglior portiere del torneo, fa un paperone gigante sul primo gol, lo consola Pierluigi Collina, arbitro della sfida. Amen.
Riavvolge tutto Damiano Tommasi, quattro volte titolare.
Scrolliamoci subito di dosso Moreno e le sue malefatte.
«Contro la Corea, abbiamo capito che aria tirava dopo tre minuti: Coco ammonito e poi rigore. Da lì in poi, per tutta la partita ci fu la sensazione che sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa in ogni momento. Per questo il secondo gol sarebbe stato importante: ci avrebbe messo al riparo da brutte sorprese e avrebbe tolto loro l'entusiasmo. Ma Moreno resta un fattore marginale per la nostra eliminazione. Ha preso decisioni discutibili, è vero, ma se io o Vieri avessimo segnato, non ci sarebbero stati problemi».
Quindi non è stato un arbitraggio casalingo?
«Se avesse voluto favorire la Corea, non avrebbe permesso a Vieri di trovarsi davanti alla porta a un minuto dalla fine. Avrebbe interrotto prima l'azione».
E invece furono supplementari. Che aria tirava in campo?
«Io ero sereno. Con il golden gol sapevamo che bastava una palla per vincere. E c'era la sicurezza che quella giusta l'avremmo avuta noi».
Non andò così. Che cosa successe dopo?
«Negli spogliatoi c'erano i televisori. Io avrò rivisto dieci volte il mio gol annullato, in campo la posizione mi sembrava regolarissima. In tv no, così arrivai a capire l'errore del guardalinee».
Facile con l’Ecuador (2-0, doppio Vieri), male con la Croazia (1-2, Vieri, «ma avevamo mollato un po’ troppo presto»), 1-1 con il Messico (Del Piero all’84): si passa per la miglior differenza reti. Furono subito polemiche infuocate.
«Mi toccarono di striscio. Ero tranquillo, quella era la prima e ultima volta che avrei giocato un mondiale. Volevo godermela fino in fondo».
Moreno a parte, cosa è rimasto di indimenticabile di quella avventura?
«Il modo di vivere di quei popoli, una cultura che mi ha sempre affascinato. Miliardi di persone che vivono senza dare peso a quello che noi consideriamo vitale. Come l’immagine, per esempio. E poi l’ordine maniacale e il rispetto per la privacy. Siamo sempre stati circondati da tifosi orientali, ci vedevano solo salire sul pullman: mai, però, uno che ci abbia importunato».
E sul campo?
«Contro l’Ecuador ho giocato nello stadio più bello della mia vita, quello di Sapporo. Avevano chiuso il tetto, faceva impressione: non avrei mai voluto uscire dal campo. E poi ricordo ancora la goia dei tifosi sudamericani».
Il girone eliminatorio in Giappone, gli ottavi in Corea: un problema in più?
«La Corea è più caotica del Giappone, eravamo un po’ meno tranquilli. Ma vedere tanti tifosi, anche avversari, è positivo, ti mette molta adrenalina. Piuttosto ci faceva ridere come la Corea del Sud rivendicasse, per impaurirci, la vittoria della nemica Corea del Nord nel ’66...».
Il suo ricordo di Trapattoni?
«Mi colpiva il timore che aveva degli infortuni nelle sedute pre-gara. Faceva finire prima gli allenamenti e voleva sempre giocare nelle partitelle per vedere che aria tirava in campo».
Di chi fu il miglior calcio?
«Dell’Irlanda. Per il gioco e per lo spirito. Si divertivano in campo».
Miglior giocatore?
«Robby Keane».
(13.fine)

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