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29 marzo 1516, a Venezia nasce il primo ghetto ebreo

Il 29 marzo 1516 il senato veneto obbligò gli ebrei a vivere in un quartiere dotato di due porte, aperte al mattino e chiuse la sera. La zona ospitava una fonderia, da qui il termine "geto", presto adottato in molte altre città italiane ed europee. Sconfitta da Napoleone, la Serenissima fu poi anche la prima nel 1797 a cancella questa orribile istituzione

29 marzo 1516, a Venezia nasce il primo ghetto ebreo

Venezia, terra di libertà, democrazia grazie ai suoi mille anni di repubblica, capitale della musica e dell'editoria, nasconde un terribile «segreto»: il 29 marzo 1516 fu la prima città a chiudere gli ebrei in un ghetto. Anzi il termine deriva proprio dalla deformazione di una parola veneziana «geto», poiché il luogo scelto ospitava un'antica fonderia. Con il tempo altri ghetti vennero poi aperti in Italia e nel resto d'Europa, diventando presto sinonimo di emarginazione ed esclusione. Fino a quando vennero aperti, o chiusi a secondo dei punti di vista, dalla ventata napoleonica alla fine del Settecento. E ancora una volta la Serenissima precedette tutte le altre città: fu la prima a cancellare questa vergogna.

Venezia come molti altri centri europei, iniziò assai presto a ospitare gli ebrei erranti, primi insediamenti sono infatti documentati tra il IV e il V secolo. Una comunità rimasta per quasi un millennio in perfetto equilibrio, convivendo pacificamente con il resto della popolazione. La situazione precipitò dopo il 1492 quando i cattolicissimi re di Spagna Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castglia ultimarono la «reconquista». Il 2 gennaio di quell'anno infatti cadde Granada l'ultimo califfato arabo oltre le colonne d'Ercole. Boabdil, governatore della città, venne cacciato insieme agli altri mori, ma l'azione dei due Reyes Católicos non si fermò qui. Spostarono subito la loro attenzione verso la numerosissima comunità ebrea ordinando la conversione o la cacciata. Molti accettarono il diktat, diventarono «conversos», o «marrani» termine che all'inizio non aveva nulla di spregiativo, altri invece lasciarono il Paese.

Iniziò così la peregrinazione degli ebrei sefarditi, da Sefar, nome con cui definivano la Spagna, che si dipanò lungo il nord Africa, la Turchia, i Balcani e l'Italia. All'inizio del Cinquecento dunque a Venezia il numero degli israeliti iniziò a crescere in maniera tumultuosa. In quel periodo infatti si rifugiò in laguna anche Grazia Nasi, alias Gracia Miquez, alias Beatriz de Luna, vedova di Francesco Mendes, una delle donne più ricche e influenti del suo tempo. Denaro e influenza che usò per salvare molti ebrei dai pogrom che iniziavano a scoppiare in varie città europee.

Una presenza, e una potenza, che cominciò presto anche a destare qualche preoccupazione nei governanti veneziani così il 29 marzo 1516 il Consiglio dei Pregadi, il senato veneto, ordinò a tutti gli ebrei a concentrarsi in una determinata zona della città, chiusa da due porte da aprire al mattino e chiudere alla sera, quando non era dunque più permesso agli israeliti, di girare per calli e campielli. Come zona venne scelto un'ex fonderia, per questo chiamata «geto» che gli ebrei askenaziti, provenienti dal mondo germanico, pronunciavano però «ghetto». Da lì non poteva uscire e neppure allargarsi, tanto che quando i residenti cominciarono a necessitare di maggior spazio dovevano ricavarlo, come poi avvenne in molti altri ghetti, in altezza. Sopraelevando le loro abitazioni, arrivarono così a edifici alti fino a otto piani, veri grattacieli per l'epoca. Una soluzione che però non bastò, tanto che il governo della Serenissima fu costretta ad aggiungere al Ghetto Vecchio, quello Nuovo e quello Nuovissimo.

Dopo Venezia, la soluzione venne adottata presto anche in altre città italiane: Ancora e Osimo, 1555, Bologna, 1566, Firenze, 1571. Nel Seicento non c'era grosso centro che non avesse il suo quartiere, dove rinchiudere gli ebrei. I ghetti rimasero attivi fino alla fine del Settecento quando Napoleone passò come un ciclone attraverso la pianura Padana. Fatta capitolare Venezia nel 1797, il futuro imperatore chiuse il ghetto, contemporaneamente a quelli di Padova, Verona e Reggio Emilia. Poi toccò a Mantova, 1798, Gradisca, 1782, Gorizia e Trieste, 1784. Per gli altri, bisognerà attendere un altro mezzo secolo: il Piemonte e la Toscana li cancellarono nel 1848, L'Emilia Romagna nel 1859, le Marche nel 1861.

L'ultimo fu quello di Roma nel 1870, quando le truppe piemontesi entrarono dalla breccia di Porta Pia e lo fece scomparire dalla storia, insieme allo Stato Pontificio e alla figura del Papa Re.

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