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Turchia, sì alle riforme Erdogan

L’Alta Corte boccia i ricorsi del capo dello Stato e dell’opposizione che volevano affossare il nuovo assetto costituzionale del premier

da Ankara

Il popolo turco il 22 luglio sarà chiamato a scegliere il futuro del suo Paese. E tre mesi dopo quello della sua Costituzione. In un clima politico che potrebbe riservare nuovi momenti di tensione.
Ieri la Anayasa Mahkemesi, la Corte Costituzionale, ha respinto, a sorpresa, i ricorsi presentati dal presidente della Repubblica Ahmet Necdet Sezer e dal Partito repubblicano del popolo, attualmente all’opposizione. L’obiettivo era quello di fermare la riforma costituzionale fatta votare dal governo Erdogan in appena 10 giorni. Una riforma criticata aspramente da stampa ed esperti di diritto, perché ritenuta pericolosa per la tenuta della democrazia del Paese.
I punti più salienti sono l’elezione del presidente della Repubblica, che dovrebbe venire scelto direttamente dal popolo e avrebbe un mandato più corto (da 7 a 5 anni), ma rinnovabile di una volta. Altri emendamenti molto importanti sono l’abbassamento della soglia per fare passare in Parlamento le leggi più importanti, da 367 a 184 deputati, e la durata della legislatura, che passa da 5 a 4 anni.
Il premier Erdogan dovrebbe gioire, ma è meglio che aspetti. L’undicesimo presidente della Repubblica dovrà prima essere votato dal Parlamento che uscirà dalle urne del 22 luglio. Solo se l’assemblea non sarà in grado di nominarlo, allora la riforma referendaria varrà a partire dal prossimo capo dello Stato. E se Erdogan e il suo partito islamico moderato non riusciranno a riconquistare la maggioranza plebiscitaria ottenuta nel 2002, allora si aprirebbe lo spazio a una maggioranza che sceglierà un candidato più di impronta laica.
Che una parte di Turchia non gradisca un candidato proveniente dagli ambienti islamici, l’esecutivo in scadenza lo dovrebbe aver già capito almeno dallo scorso aprile, quando milioni di persone scesero in piazza per difendere la laicità dello Stato e per protestare anche contro l’ipotesi che il ministro degli Esteri Abdullah Gul, con passato islamico e moglie velata, ricoprisse la stessa carica che era stata di Mustafa Kemal Ataturk.
Gul fu bocciato proprio dalla Corte Costituzionale, che dichiarò la sua elezione nulla per mancanza del numero legale. Per tutta risposta, il premier Recep Tayyip Erdogan ha trovato il modo di cambiare la Costituzione turca in appena 10 giorni.
La riforma, se verrà votata in sede referendaria, rischia di creare gravi squilibri nella vita politica e civile del Paese, con un indebolimento dei poteri legislativi del Parlamento e di quelli decisionali della Corte Costituzionale.
In questo quadro, il risultato del prossimo voto politico appare ancora più determinante. Se la maggioranza, infatti, dovesse cambiare, allora, forse, l’accordo per eleggere un nuovo capo dello Stato potrebbe essere trovato prima del 22 ottobre, data del referendum. Se invece Recep Tayyip Erdogan riconquisterà la maggioranza e, come dice, farà una coalizione con i deputati curdi indipendenti, il Paese vivrà nuovi momenti di tensione.
La posta in gioco è troppo alta. Gli ambienti laici non vogliono che un uomo dal passato islamico come Erdogan conquisti sia la presidenza del Consiglio sia quella della Repubblica. In Parlamento possono ancora opporsi a un candidato conservatore come hanno fatto con Gul.

Sulla Costituzione però adesso sarà il popolo turco a decidere.

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