Il turismo nautico riparte dalla Sardegna

CagliariSecondo l'ultimo rapporto Censis sull'Economia del Mare, il turismo nautico vale 5 miliardi di Pil. Stiamo parlando di un settore massacrato dal fisco, dalla burocrazia e dai vari governi - centrali e locali - incapaci di sfruttare al meglio la «materia prima» nazionale: il mare e le sue coste. Alcune sere fa, ospite di Quinta Colonna su Rete 4, Flavio Briatore liquidò con una battuta a effetto la miopia di quasi tutti i governi dal dopoguerra a oggi: «Con ministri del Turismo in grado di fare i ministri del Turismo, oggi la nautica da diporto potrebbe valere almeno 40 miliardi di Pil». E lo sa bene anche il neo ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Maurizio Lupi, che alla Camera ha annunciato il proprio «impegno a ridare respiro a questo settore drammaticamente in crisi. Servono snellimento burocratico e agevolazioni fiscali». Santo subito o a grazia ricevuta?
Il turismo nautico è una lunga filiera strettamente collegata alla produzione manifatturiera, capace di generare un moltiplicatore del reddito e dell'occupazione che non ha pari nel cluster marittimo. Secondo il Censis i dati della nautica sono rispettivamente di 4,5 e 6,5 a fronte di una media di 2,5 e 1,8.
Basti dire che la spesa media del diportista sul territorio (depurata dal costo dell'ormeggio) è circa il doppio di quella del turista cittadino (al netto del costo dell'alloggio). In media un marina turistico genera complessivamente 89 posti di lavoro, di cui 12 alle dipendenze del porto, 54,5 occupati in attività dell'area portuale e 22,5 occupati sul territorio. Ogni 3,8 imbarcazioni si genera un posto di lavoro in attività turistiche e nei servizi.
L'analisi che sarà presentata oggi, in occasione della convention Ucina-Confindustria Nautica, dimostra come, liberando il settore dai tentacoli della burocrazia, nella sola Sardegna sarebbe possibile creare 2.300 nuovi posti di lavoro. Dal punto di vista dell'offerta della ricettività portuale ci sono stati importanti investimenti e l'Italia ha registrato un incremento di oltre il 9,58% nel periodo 2007-2012, che porta le infrastrutture a un totale di 546, di cui 77 marina turistici, 352 porti pubblici polifunzionali, 117 punti di ormeggio. A livello di distribuzione territoriale, al primo posto si posiziona la Sicilia con 89 infrastrutture, seguita nell'ordine dalla Sardegna e dalla Liguria.
Il 2012, purtroppo, è stato l'annus Montis, funestato dalla tassa di possesso sulle imbarcazioni, inizialmente concepita come tassa di soggiorno, dallo sproporzionato aumento dei sovracanoni demaniali regionali sulle concessioni marittime, dall'ossessiva attività di controllo fiscale. Ecco i risultati: contratti di ormeggio annuali -26%, ormeggi in transito -34%, ricavi per gli approdi a gestione pubblica -39%, spesa turistica dei diportisti sul territorio -56%, fatturato del settore charter -21%. Per tacere degli oltre 20mila posti di lavoro andati in fumo in tre anni (la metà solo nel 2012). Tuttavia qualcosa si è mosso nei primi mesi del 2013. Ci riferiamo alle due importanti novità legislative, fortemente volute da Ucina: il registro telematico delle immatricolazioni e il «bollino blu» rilasciato a seguito di una verifica e che dovrebbe evitare inutili e ripetitivi controlli. Ancora in alto mare, invece, l'Iva agevolata (10%) applicata al turismo. I vari settori legati alla nautica, infatti, continuano a pagare il 21% (il 22 da luglio?).

Tutto questo si chiama sviluppo della recessione.

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