Stile

Tutto quanto fa «Biennals»

di Marta Calcagno Baldini

Si instagrammano in gondola. Poi al ristorante, dove mangiano la pizza scaldata al microonde col cappuccino alle 13 e la sera pasteggiano con spaghetti accompagnati dallo spritz. Fin dal mattino (non prima delle 11) girano per ponti, calli e campi con un tacco 12 se donne, e categoricamente all-black (vale per entrambi i sessi). Eccoli che sorridono con la testa di sbieco rispetto al cellulare mentre si fanno un selfie con alle spalle la performance del Padiglione della Lituania, Leone d'Oro per la miglior Partecipazione Nazionale alla Biennale d'Arte 58.

Il lavoro di Rugilè Barzdziukaitè, Vaiva Grainylè, Lina Lapelyte mette in scena un'oziosa giornata in spiaggia: persone stese sull'asciugamano a prendere il sole, in pasto al pubblico che può fotografarli, postarli ovunque. Non poteva vincere opera più significativa e apprezzabile per i Biennals, la nuova categoria di visitatori che sono arrivati a Venezia per la tre giorni di pre-apertura (quella che si teneva dall'8 al 10 maggio) della Biennale d'Arte. Di solito sono date riservate agli addetti (galleristi, giornalisti, collezionisti).

La moltitudine indistinta che ha popolato la 58esima Esposizione Internazionale d'Arte, però, fa pensare che qualcosa sia andato oltre alle previsioni: dal primo giorno di pre-apertura le prenotazioni sono salite al 97%. Che sia stata la decisione di non preparare per i registrati i classici badge da appendere al collo con nome-cognome-testata? Quest'anno venivano consegnati solo dei biglietti da portare con sé, ma non era semplice per lo staff fermare tutti agli ingressi dei Giardini e dell'Arsenale per controllare corrispondessero quella persona. Ad ogni modo, le giornate di pre-apertura sono state occupate dai Biennials, che usano queste occasioni mondane per vivere il momento e per apparire, dal vivo e su internet. Venezia era data in pasto ad una schiera fremente di uomini e donne, italiani e stranieri da ogni parte del Mondo.

Hanno in media dai 30 ai 60-70 anni: se l'abito è di marca, non deve notarsi la firma. Meglio poi associarlo ad un accessorio da mercatino dell'usato, chiaramente acquistato in una delle scampagnate abituali a Berlino o Londra. Grande boom per i coprispalle o soprabito, unico capo possibile da indossare in mille colori, stoffe e lunghezze, basta che siano di sartoria. Oltre al nero, che per il bon ton sarebbe improponibile prima del tramonto, è d'obbligo, sia per le donne che per gli uomini, una borsetta qualsiasi di tela su una spalla con dentro il poco necessario.

Meglio però sarebbe riuscire ad avere quella grigia distribuita in Biennale con all'interno la cartella stampa. Oltre alla poca attenzione alle tradizioni culinarie italiane, si nota nei Biennials anche una presenza poco educata e rispettosa degli spazi artistici. Sostano nei Giardini lerciandoli con cartacce e avanzi di cibo, contenitori di plastica e bottiglie di vetro, si affollano in luoghi storici, palazzi e chiese, gallerie, musei, dal valore esclusivo senza rispettare le code e comportandosi come se non ci si trovasse in luoghi d'arte. Una volta appurata la poco discreta presenza dei Biennials, resta da chiedersi se Ralph Rugoff, curatore di questa Biennale nonché direttore della Hayward Gallery di Londra dal 2006, sia soddisfatto del risultato ottenuto o se avrebbe preferito un pubblico più attento. Il clima festaiolo e superficiale dei giorni di pre-apertura potrebbe essere stato ispirato dal titolo dell'esposizione: «May You Live In Interesting Times». Ma non si contano le volte in cui Rugoff stesso e tutto lo staff della Biennale abbiano spiegato che l'argomento sollevato avrebbe voluto ispirare gli artisti a riflettere sulla complessità della nostra epoca, chiedendo loro di ipotizzare delle risposte. Ma, si è capito, il Biennals è in Biennale per vivere l'occasione e immortalarla col suo smartphone.

Non è tenuto ad approfondire.

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