Fumata bianca

Berlusconi e quell'intesa con Wojtyla e Ratzinger

Dalla discesa in campo fino alle ultime fasi, i rapporti tra il Cavaliere e le gerarchie ecclesiastiche sono stati profondi e particolari, ma sono anche stati diversi nel corso del suo impegno politico

Berlusconi e quell'intesa con Wojtyla e Ratzinger

L'omelia di monsignor Mario Delpini alle esequie di Silvio Berlusconi ad alcuni è piaciuta molto, ad altri per niente. Ma non c'è stata una linea di demarcazione netta tra le reazioni: critiche ed elogi ci sono state - per motivi diversi e persino opposti - sia nel campo antiberlusconiano che in quello di chi amava e stimava il Cavaliere. L'accoglienza contrastante alle parole pronunciate dall'arcivescovo di Milano è per certi versi il naturale corollario del rapporto tra la Chiesa e Berlusconi nel trentennio che lo ha visto protagonista della vita pubblica del Paese cattolico per antonomasia.

L'intesa con Ruini

Quando Berlusconi scese in campo nel 1994, la Cei era saldamente guidata dal cardinale Camillo Ruini, l'uomo che Giovanni Paolo II volle come suo luogotenente in Italia già dal 1986 (prima come segretario e poi come presidente) dopo averne apprezzato le tesi su una nuova presenza pubblica dei cattolici sostenuta nel convegno ecclesiale di Loreto del 1985.

Poche ore dopo la morte dell'ex premier, il cardinale emiliano ha ammesso l'intesa che si stabilì con lui nel corso dei tre mandati alla guida dei vescovi italiani. Ruini lo ha ricordato come un suo amico, riconoscendogli soprattutto il merito di aver "impedito al partito ex comunista di andare al potere nel 1994". Nella politica dei gesti che contraddistingueva l'uomo politico milanese c'è un episodio che fotografa simbolicamente l'asse instauratosi con Ruini: in visita a Palazzo Chigi nell'ottobre del 2003, non solo al presidente della Cei venne consentito l'accesso dall'ingresso di piazza Colonna riservato tradizionalmente solo ai capi di Stato e ai primi ministri, ma Berlusconi all'uscita lo accompagnò nel cortile e gli chiuse persino la portiera della macchina.

La particolare attenzione riservata dagli esecutivi guidati dal Cavaliere alle richieste e delle sensibilità della Chiesa italiana è stata recentemente ricostruita da Mauro Mazza nel suo volume Lo stivale e il cupolone e riguardò soprattutto scuola, famiglia e bioetica. Quando politici e media di sinistra attaccarono Ruini per i suoi interventi nel dibattito publico e lo accusarono di ingerenza, Berlusconi da presidente del Consiglio non esitò a difenderlo pubblicamente. L'intesa tra i due fu tale che l'allora premier nel 2005 fu vicinissimo a rompere il silenzio sul referendum sulla procreazione assistita e schierarsi a favore dell'astensione su richiesta dello stesso Ruini.

Il leader di Forza Italia divenne l'interlocutore naturale del capo dei vescovi italiani dopo la fine dell'unità politica dei cattolici ed in particolare dopo aver visto che la nuova creatura del Cav era riuscita ad attirare la maggioranza dell'elettorato Dc. Ma al di là delle motivazioni politiche, l'intesa tra i due sfociò in un'amicizia confermata anche dalla visita di Berlusconi alla residenza di Ruini poco dopo l'aggressione subita in piazza Duomo a fine 2009.

La stima per Giovanni Paolo II

Per l'uomo che amava ricordare il suo anticomunismo era impossibile non stimare il Papa polacco che contribuì alla fine dei regimi comunisti nell'Europa orientale. Nel 2002, Berlusconi così lo descrisse nella trasmissione Excalibur:

"Giovanni Paolo II è il Papa che con la sua predicazione sulla libertà e sulla dignità dell'uomo ha contribuito al crollo del comunismo sovietico ed ha aperto il cammino verso la riunificazione dell'Europa. Abbiamo guardato a lui non solo come al successore di Pietro, come al capo della Chiesa cattolica, ma anche come al campione della democrazia, il campione che da sempre si batte per la libertà e la verità, quei sentimenti nobili, coraggiosi che debbono sempre muovere i cuori e le coscienze di ognuno di noi".

Parlando dei suoi incontri con Karol Wojtyla, Berlusconi più volte confessò la sua sensazione di essere al cospetto di "una persona dotata di qualcosa di non comune''. La prima udienza fu in qualità di presidente del Milan, accompagnando la squadra rossonera in Vaticano e raccogliendo la confessione del Papa polacco di voler viaggiare il più possibile per potere "attraversare la soglia di ogni casa".

Con la discesa in campo, le occasioni per incontrarsi divennero più frequenti: Berlusconi raccontò che Wojtyla era costantemente informato sulla situazione della politica italiana. Il primo atto ufficiale da presidente del Consiglio nel 1994 fu la visita al Policlinico Gemelli per fare gli auguri di pronta guarigione al pontefice polacco che vi era ricoverato per la frattura del femore. Poi toccò al Cavaliere accoglierlo da premier nella storica prima visita di un Papa nel Parlamento italiano, a Montecitorio, il 14 novembre 2002. Nel dicembre 2004 portò con sé in Vaticano sua madre Rosa e la presentò al Pontefice già malato.

Nonostante il buon rapporto personale, non sempre tra Berlusconi e Giovanni Paolo II ci fu identità di vedute: si trovarono, ad esempio, su fronti opposti relativamente alla guerra in Iraq che Wojtyla cercò in tutti i modi di impedire. Ma in politica estera, Wojtyla fu riconoscente a Berlusconi per l'aiuto a mediare con la Russia con l'obiettivo di organizzare un viaggio papale a Mosca che poi non si realizzò per l'opposizione del Patriarcato ortodosso. Il Cavaliere presenziò da presidente del Consiglio in piazza San Pietro sia nel 2005 ai funerali del Papa polacco che nel 2011 per la sua beatificazione nella cerimonia presieduta da Benedetto XVI.

Il bavarese ed il milanese

La prima stretta di mano tra Silvio Berlusconi e Joseph Ratzinger avvenne al termine della messa per l'inizio del ministero petrino il 24 aprile del 2005. Nelle ore della fumata bianca della Sistina che annunciò l'elezione di quello che i suoi nemici chiamavano il panzerkardinal una fumata nera avvolse il governo uscito vincitore dalle elezioni del 2001.

Costretto a dimettersi dopo la crisi della maggioranza scoppiata a seguita del risultato del centrodestra alle regionali, Berlusconi formò il suo terzo governo proprio a ridosso della messa di inizio pontificato di Ratzinger. La prima udienza ufficiale ebbe luogo il 19 novembre del 2005 e già in quell'occasione Benedetto XVI dimostrò una particolare premura per il suo interlocutore, regalandogli un rosario con la preghiera di donarlo alla madre Rosa, molto devota.

Tornato a Palazzo Chigi nel 2008, Berlusconi ottenne un secondo colloquio durato 40 minuti e durante il quale il Pontefice tedesco volle ricordare l'amata madre dell'allora premier da poco scomparsa e che lui stesso aveva conosciuto in un'udienza privata nel 2007. "Sua mamma so che è morta. Adesso dal cielo l'aiuterà", disse Ratzinger prima di affrontare i temi caldi dell'agenda tra Santa Sede e governo italiano. Da leader dell'opposizione nel 2007, il Cav si indignò quando le proteste per la sua presenza portarono alla cancellazione della visita del Papa alla Sapienza: "È una ferita che umilia l'università e l'Italia", scrisse in una nota.

Come ha ricordato di recente alla Nuova Bussola Quotidiana il deputato di Forza Italia e storico collaboratore del presidente Andrea Orsini tra i due uomini si era "stabilita una naturale simpatia reciproca". L'avvento del quarto governo Berlusconi, dopo le tensioni con il governo Prodi per il no ai Dico, segnò anche una ritrovata sintonia nei rapporti tra Palazzo Chigi con punti in comune su temi come l'istruzione e la sanità privata, il sostegno ai cristiani in Medioriente, il quoziente familiare, il no all'eutanasia e alle adozioni per le coppie omosessuali. La crisi del 2011 e la fine dell'era Ruini alla Cei provocarono un cambiamento nei rapporti tra il centrodestra a trazione berlusconiana e la Chiesa italiana, con riflessi anche Oltretevere. Questo non intaccò la stima personale ribadita in occasione della morte di Benedetto XVI in un post sui social in cui il Cavaliere lo definì testimone di "profonda spiritualità, di raffinata cultura, di serenità nella sofferenza".

Gli ultimi anni

Nonostante avessero in comune l'anno di nascita, il 1936, Silvio Berlusconi e Papa Francesco non si sono mai incontrati. In occasione della morte, il Vescovo di Roma - ricoverato in ospedale - ha voluto far inviare un telegramma di cordoglio firmato dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin e indirizzato alla figlia Marina. Jorge Mario Bergoglio ha definito il leader appena scomparso un "protagonista della vita politica italiana, che ha ricoperto pubbliche responsabilità con tempra energica".

In questo ultimo decennio molte cose sono cambiate in Vaticano e di conseguenza anche nella Chiesa italiana. Poco o nulla è rimasto dell'episcopato ridisegnato da Giovanni Paolo II proprio sul solco dell'esperienza convegno ecclesiale di Loreto in cui si fece notare l'emergente Camillo Ruini, volto simbolo della stagione wojtyliana-ratzingeriana.

L'uscita di scena di personaggi come Ruini - e in misura minore del suo successore, il cardinale Angelo Bagnasco - ha significato la fine di quell'interlocuzione privilegiata con il centrodestra di cui Berlusconi è stato protagonista. Che il clima sia cambiato lo dimostra quanto sia diffuso il commento di chi sostiene che monsignor Delpini sia riuscito a svolgere con abilità un compito considerato non facile: per tale si intende evidentemente il dover pronunciare un'omelia di un uomo pubblico come Berlusconi, senza scontentare ammiratori e denigratori forse anche nella Chiesa.

Questa necessità pare aver portato l'arcivescovo di Milano a fare cenno delle sensazioni provocate da uomo politico, uomo d'affari e personaggio noto ma a scordarsi del Berlusconi padre, nonno ed amico. Per evitare le polemiche sembra quasi che Delpini abbia cercato di centellinare le parole e spersonalizzare il più possibile quella che però è un'omelia per un defunto.

Il risultato è che l'ambiguità di fondo, a un orecchio attento, non nasconde ma amplifica le due assenze più importanti: il ricordo della dimensione privata e la speranza del Cristo risorto.

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