Fumata bianca

La "stretta" del Papa all'Opus Dei. Così chiude l'era Wojtyla

L'ennesimo motu proprio di Francesco modifica le regole sulle prelature personali. Un atto di discontinuità con il pontificato di Giovanni Paolo II

La "stretta" del Papa all'Opus Dei. Così chiude l'era Wojtyla

Lo scorso 8 agosto, il Papa ha emanato l'ennesimo motu proprio del suo ormai ultradecennale pontificato. Questa volta l'intervento di Francesco si è diretto a modificare le disposizioni di due canoni del Codice di Diritto Canonico - precisamente il 295 ed il 296 - che sono relativi alle prelature personali. Il provvedimento interessa l'Opus Dei che da San Giovanni Paolo II era stata eretta prelatura personale di ambito internazionale, con il nome di Santa Croce e Opus Dei e che è l'unica esistente.

Cambiamenti

Con il nuovo motu proprio del pontificato bergogliano, la prelatura personale viene "assimilata alle associazioni pubbliche clericali di diritto pontificio con facoltà di incardinare chierici" e i suoi statuti possono essere "approvati o emanati dalla Sede Apostolica" , mentre si specifica che il Prelato agisce "in quanto Moderatore, dotato delle facoltà di Ordinario". Non è la prima volta che Francesco prende decisioni che si riflettono direttamente sull'Opus Dei. Circa un anno fa, infatti, aveva già emanato il documento Ad charisma tuendum che trasferiva le competenze sulle prelature personali dal dicastero per i vescovi a quello per il clero e in base al quale il Prelato non deve più ricevere l'ordinazione episcopale. Nel 1991 era stato San Giovanni Paolo II in persona ad ordinare vescovo l'allora Prelato monsignor Alvaro del Portillo e sempre il Papa polacco consacrò il suo successore nel 1995, monsignor Javier Echevarría Rodríguez. Questo cambiamento non è un fattore da poco perché l'attuale Prelato, monsignor Fernando Ocáriz, non essendo vescovo non ha la facoltà di conferire l'ordine sacro ai candidati.

La reazione

La reazione di monsignor Fernando Ocáriz al provvedimento che ridisegna la struttura della prelatura personale delimitando in maniera consistente l'autonomia, è stata all'insegna dell'obbedienza. Una posizione in linea con quella tenuta dall'Opus Dei in questi quasi undici anni di un pontificato che ha ridimensionato la libertà d'azione dell'opera concessa ai tempi di San Giovanni Paolo II. "Accogliamo con sincera obbedienza filiale le disposizioni del Santo Padre e per chiedervi di rimanere, anche in questo, tutti molto uniti. In tal modo seguiamo lo stesso spirito con il quale san Josemaría e i suoi successori hanno accettato qualsiasi decisione del Papa sull’Opus Dei. Poiché l’Opera è una realtà di Dio e della Chiesa, lo Spirito Santo ci guida in ogni momento”, ha scritto in un messaggio il successore di Javier Echevarría.

Monsignor Ocáriz ha voluto ricordare anche che questo provvedimento dovrà fare i conti con l'aggiornamento degli statuti dell'Opus Dei che è già in corso da un anno. Nessuna polemica, dunque, da parte dei vertici dell'Opera su cui sono duri a morire tanti pregiudizi e ricostruzioni fantasiose ma che in questi decenni si è dimostrata una delle realtà più più prolifiche in termini di azione evangelizzatrice nella società contemporanea.

Critiche ed elogi

Ma se il Prelato dell'Opus Dei non ha mosso critiche alla decisione del Papa, c'è stato chi ha sollevato alcuni rilievi all'ennesimo motu proprio. Lo ha fatto in punta di diritto la canonista Geraldina Boni, professoressa ordinaria di diritto canonico e diritto ecclesiastico all'Università di Bologna, che ha scritto una riflessione pubblicata sul sito del Centro Studi Livatino in cui ha evidenziato due modalità procedurali non consuete sebbene già viste nell'attuale pontificato: la promulgazione del motu proprio con pubblicazione su L'Osservatore Romano e l'entrata in vigore immediata.

La docente ha puntato l'indice sull'"abbandono" dei "consueti canali normogenetici" che "non rappresentano un omaggio a un vuoto formalismo, ma sono garanzie della perfezione tecnica della legge, nonché strumenti attraverso cui si può esprimere una vera sinodalità". Boni, inoltre, ha osservato come "in qualsiasi canonista con dimestichezza della tradizionale terminologia adoperata nella Chiesa non può non destare meraviglia che una ʻprelaturaʼ venga assimilata a un’associazione" richiamando il decreto Presbyterorum ordinis, n. 10 del Concilio Vaticano II in cui per la prima volta venivano menzionate le prelature personali ed affermando che "non è francamente immaginabile che i Padri conciliari, i quali di prelature conoscevano solo quelle territoriali, allorquando approvarono la possibilità di creare diocesi peculiari o prelature personali, stessero pensando a enti simili alle ʻassociazioni'". Per la professoressa, l'assimilazione delle prelature personali alle associazioni clericali rappresenta "la problematicità più evidente" del nuovo motu proprio perchè va a toccare l'unica prelatura personale, ovvero l'Opus Dei, di cui però occorre preservare il carisma autentico e la composizione, con 90mila fedeli laici e 2000 sacerdoti.

C'è, invece, chi come Alfonso Botti, professore ordinario di Storia contemporanea nel dipartimento di studi linguistici e culturali dell'Università di Modena e Reggio Emilia, ha visto nel provvedimento "il riverbero della linea caratterizzante l’attuale pontificato" consistente nei ripetuti allarmi di Francesco sui rischi del cosiddetto clericalismo.

Nel suo commento per Il Mulino, lo storico ha presentato il motu proprio come l'ennesimo segnale di discontinuità di Bergoglio rispetto ai suoi predecessori e dunque come "un ammonimento a tutti i movimenti e gruppi carismatici particolarmente in auge durante il pontificato di Giovanni Paolo II, promotore di un cattolicesimo identitario e trionfale, poco compatibile con la Chiesa 'ospedale da campo' e punto di riferimento dell’umanità spaesata, del papa argentino".

Come che sia, anche alla luce dell'analisi di chi giudica positivamente quest'ultima iniziativa di Francesco, sembra rafforzarsi l'idea di un pontificato orgogliosamente di rottura con la stagione wojtylian-ratzingeriana, smentendo la tesi sostenuta a lungo da alcuni secondo cui tra l'operato di Francesco e quello di Benedetto XVI sarebbe esistita una sostanziale continuità.

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