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Venissa, tutto l'oro della laguna

P iazza San Marco, il cuore di Venezia, mille anni fa era una grande vigna. E senza andare tanto lontano nel tempo, fino a pochi decenni fa molte delle isole della laguna veneziana producevano buon vino. Questa lunga tradizione fu sbianchettata in pochi giorni nel 1966, quando un'alluvione epocale distrusse tutte le vigne e fece capire che in terre di acqua alta la vite non era il più saggio degli investimenti. Pochissimo rimase di quel patrimonio ampelografico e quel poco fu scovato all'inizio del nuovo millennio da Gianluca Bisol, produttore di Prosecco a Valdobbiandene, che andò a visitare la basilica di santa Maria Assunta a Torcello, la più antica chiesa veneziana, e scoprì un piccolo vigneto-giardino di un quinto di ettaro. Furono scovate nella cosiddetta Venezia Nativa ottantotto piante di un vitigno autoctono, la Dorona, che Bisol decise di piantare in una tenuta dell'isola di Mazzorbo, accanto a Burano, all'interno di un orto sorvegliato da un campanile e circondato da mura medievali. In meno di un ettaro era nato il progetto Venissa.

Pareva una follia fare vino là, dove il sodio la fà da padrone e dove c'è sempre il rischio che torni l'acqua a distrugger tutto. Ma i Bisol non si sono fermati e nel 2010 hanno fatto la prima vendemmia e hanno prodotto il primo Venissa, un bianco prodotto secondo le tradizioni locali quasi come se fosse un rosso: una lunga macerazione sulle bucce e un affinamento di circa due anni in cemento. Il risultato è un vino quasi inclassificabile, molto diverso di anno in anno (ne sono uscite finora quattro annate, la più esaltante la balsamica 2011), dal colore dorato e dalla struttura gigantesca. Le bottiglie prodotte sono poche (tra 3 e 4mila) e il prezzo è da amatori. Ci sono anche un Rosso Venissa da uve Merlot e Cabernet Sauvignon coltivate nell'isola di Santa Cristina e il più agile Rosso Venusa. Vini davvero unici.

E non per dire.

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