Cultura e Spettacoli

La vera storia di Ida Dalser. Il Duce non la perseguitò

Nuovi documenti sulla donna che disse di essere la moglie di Mussolini e gli diede un figlio. Morì dimenticata in manicomio ma non per colpa di Benito

La vera storia di Ida Dalser. Il Duce non la perseguitò

Fu Benito Mussolini a perseguitare Ida Dalser o fu Ida Dalser a perseguitare Benito Mussolini? Stando ad una vulgata storiografica che ha avuto buona fortuna, si è avvalsa di vari passaggi televisivi ed è approdata infine al film del 2008 di Marco Bellocchio, Vincere, non ci sarebbero dubbi: fu Mussolini che sfruttò la Dalser, dalla quale ebbe un figlio - Benito Albino -, e dopo averla usata non ne volle più sapere, quindi per liberarsene la fece rinchiudere in manicomio fino alla morte una volta diventato capo del governo. Invece, stando alle ricerche di Antonio Alosco, allievo e collaboratore di Renzo De Felice, non solo ci sono i dubbi ma anche le certezze documentarie che dimostrano che la donna, con la quale il giovane Mussolini ebbe una relazione, era affetta da uno «squilibrio mentale» con un «carattere neuropatico». Tutta un'altra storia.

Ida Irene Dalser, nata a Sopramonte nel 1880, incontrò Mussolini nel 1909 quando il futuro capo del fascismo era giornalista a Trento e lavorava in un foglio socialista diretto da Cesare Battisti. La relazione tra i due, però, iniziò anni dopo, tra il 1914 e il 1915, e fu breve. Lui era già legato a Rachele dalla quale aveva già avuto Edda quando la Dalser gli comunicò di essere incinta. Benito e Rachele si sposarono nel dicembre del 1915, la Dalser mise al mondo Benito Albino l'11 novembre del 1915 e Mussolini riconobbe il figlio nel gennaio dell'anno seguente. La donna, però, voleva altro: voleva il matrimonio e disse, senza dimostrarlo, di essere la vera moglie di Mussolini. Da qui hanno origine tutta una serie di pubblicazioni come, ad esempio, il libro di Alfredo Pieroni Il figlio segreto del Duce: la storia di Benito Albino Mussolini e di sua madre Ida Dalser o di Maria Antonietta Serena L'altra moglie del duce. Ma è solo con le trasmissioni televisive come La grande storia di Raitre, che la storia è divulgata ed è raccontata come la persecuzione della Dalser e del figlio da parte di Mussolini fino alla loro morte in manicomio. Arnaldo Mussolini, fratello del duce, sarebbe stato colui che avrebbe fatto carte false - certificati medici - e pressioni sulle autorità per far rinchiudere i due in manicomio. Questa tesi, con varie sfumature, fu sostenuta anche nella trasmissione di Corrado Augias, Enigma, alla quale presero parte Gianni Vattimo, Marco Bellocchio, Emilio Gentile. Ma questa stessa tesi salta completamente in aria con la documentazione che Antonio Alosco mette in coda al suo ultimo libro Cento anni di Blocco popolare a Napoli durante la Grande Guerra pubblicato ora da Guida editori. Il testo, molto documentato, dedica una sezione proprio al caso della Dalser e ne ricostruisce proprio quel tassello mancante nella vulgata della persecuzione mussoliniana.

Dunque, la Dalser, dopo la disfatta di Caporetto, in quanto originaria del Trentino, nella primavera del 1918 venne destinata come profuga, insieme con il figlioletto, al campo di Piedimonte d'Alife (Caserta). Il caso non è né unico né raro: Silvio Gava, ad esempio, il futuro leader democristiano, anch'egli trentino, fu destinato a Castellammare di Stabia. La Dalser si trasferì a Napoli per alcune visite mediche del bambino. La diagnosi medica del 18 agosto 1918, riportata in appendice nel testo, è chiara: il bambino era di costituzione linfatica e presentava una paresi all'arto inferiore destro in rapporto «con probabile sifilide ereditaria». Si consigliava una visita specialistica di malattie dermo-sifilopatiche. Cosa che fu fatta perché nei rapporti successivi di prefettura e questura veniva riportata la infermità del bambino dovuta a sifilide organica ereditaria. Il piccolo compendiava «tutto lo squilibrio mentale della genitrice» che veniva descritta come «squilibrata con carattere neuropatico». La donna avanzava le sue pretese - soprattutto richieste di danaro, aumento straordinario del sussidio, cosa che le fu anche concessa - con violenza, minacciando nel novembre del 1918 il suicidio. Le date in questo caso sono importanti perché nel 1918 Mussolini non era il potente capo del governo e del fascismo e non poteva di certo intervenire in perizie mediche e in relazioni prefettizie e di polizia. La Dalser raccontava anche storie personali e intime, accusava il governo e Mussolini, asseriva di appartenere ad una delle famiglie più facoltose del Trentino e di aver versato i capitali per la fondazione del Popolo d'Italia. Il prefetto di Napoli, trattandosi di storie personali, si rifiutò di entrare nella controversia. Lo stato mentale della donna era attestato dai rapporti di polizia - era sorvegliata - che ne descrivevano «la cattiva condotta specie morale essendosi data alla vita allegra riservatamente». Insomma, tutta la storia drammatica di Ida Dalser e del figlio Benito Albino è precedente alla storia del Mussolini capo del fascismo.

Giustamente Antonio Alosco conclude la sua ricostruzione molto documentata con queste parole che pongo a chiusa dell'articolo: «Il sottoscritto è convinto che ricostruire la verità storica valga molto di più che attribuire a Mussolini e al fascismo colpe (ne hanno moltissime) che non hanno».

Commenti