Controcultura

Per il vero «gentleman» l'estetica sarà anche etica

Antonio LodettiDal 2008 siamo in tempi di crisi globale che penalizza soprattutto i consumi. Sembrerà quindi assurdo parlare di cose (apparentemente) futili come la moda e il lusso. Eppure questi due mondi sono gli assi portanti della ripresa, della circolazione del denaro e del ritorno a un'economia di mercato in movimento. Oggi - dalle pubblicità patinate allo stile di vita delle star - subiamo costantemente il fascino di ciò che è lussuoso e pertanto desiderabile... È vero che «lussuoso» non è sinonimo di «costoso», ma «costoso» non è neppure assimilabile a «caro». «Caro» è un appartamento da un milione di euro a Quarto Oggiaro, alla periferia estrema di Milano; costoso è un appartamento della stessa cifra in via Montenapoleone. Il lusso, soprattutto nella moda e nell'arredamento, ha un costo. Le scarpe su misura di George Cleverley (dove si servivano Humphrey Bogart e Rodolfo Valentino) o quelle di John Lobb e Edward Green costano un botto, ma sono uno status symbol e un innegabile segno di raffinatezza ed eleganza, così come gli abiti fatti fare dai sarti londinesi di Savile Row o dal nostro Tindaro De Luca nel quadrilatero della moda a Milano. Costano molto, è vero, e fanno la differenza nello stile di un vero gentleman. Perché gli oggetti sono importanti, ma l'importante è essere un gentleman «dentro», con l'educazione estetica e il comportamento. Altrimenti, come scrive Stefano Zecchi nel suo nuovo libro Il lusso.

Eterno desiderio di voluttà e bellezza, si rischia di non capirne il valore e di esibire (più o meno grottescamente) la volgarità.

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