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La Calabria leggendaria: dalla vedova di Capo Vaticano alla magara di Gravusia

In alcune tra le leggende più note della Calabria esistono miti con punti in comune: dai diavoli ai saraceni o mori, fino alle streghe

Diavoli, saraceni e streghe: miti e leggende di Calabria
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La Calabria è una terra ricca di storia e tradizione. Ma a esse si mescolano tantissime leggende. Forse la più famosa è quella che lega la regione a un’altra, la Sicilia, ovvero il mito di Scilla e Cariddi: lo stretto di Messina, secondo la leggenda raccontata anche da Omero, sarebbe popolato da due mostri marini capaci di distruggere tutte le imbarcazioni e gli equipaggi in transito nei loro pressi. Ma c'è anche molto altro.

Capo Vaticano e l’onore

Capo Vaticano
Capo Vaticano

Capo Vaticano è un luogo davvero suggestivo, almeno quanto il suo nome. Vaticano verrebbe infatti da “vaticinium”, perché in questo luogo la sacerdotessa Manto avrebbe predetto il futuro a tutti coloro che le si rivolgevano, compresi i naviganti che dovevano affrontare lo stretto di Messina, ovvero Scilla e Cariddi appunto. La leggenda più nota però riguarda una delle spiagge bianche di Capo Vaticano, ossia Torre Ruffa. In questa terra viveva una giovane vedova, donna Canfora, che venne rapita dai saraceni: in un momento di distrazione dei rapitori, si sarebbe gettata dalla nave reclamando il proprio onore. Stando al mito, le acque cambierebbero colore ogni ora per ricordare tutte le nuance del velo che copriva il capo di donna Canfora e le onde del mare ne riproporrebbero lo straziante lamento.

Palmi e la pietra del diavolo

Palmi
Palmi

Questo mito ha un retroterra agiografico. Racconta infatti di sant’Elia in meditazione sul monte nei pressi di Palmi: il religioso ricevette una visita del diavolo, che lo tentò con un sacco pieno di monete d’oro. Il santo però, anziché cedere, scagliò le monete lungo la montagna, ed esse si trasformarono in pietre nere. A questo punto il diavolo, spalancando le ali, volò e poi si inabissò nel mare, dando vita allo Stromboli.

Stilo e l’assedio del castello normanno

Stilo
Stilo

Una battaglia di propaganda con “armi chimiche” molto speciali. La storia dell’assedio di Stilo racconta proprio questo: nel 982, il califfo Ibrahim Ibn Ahmad decise di assediare il locale castello normanno, dove la popolazione del paese si era rifugiata, sperando di prenderla per fame. Il granduca, imbeccato dal protettore san Giorgio, chiese alle puerpere il latte materno: fece preparare un’enorme ricotta che fu scagliata contro i mori. Il califfo, per giunta, la mangiò e morì di dissenteria.

Cetraro e la camicia del diavolo

Cetraro
Cetraro

A Cetraro c'è una chiesa rurale dedicata a sant’Anna. In un’epoca non meglio precisata dalla leggenda, i proprietari dei terreni circostanti, strinsero un patto col diavolo per allontanare fedeli e pellegrini, cercando di distruggere la cappella attraverso lo sfruttamento della forza dell’acqua piovana e facendo apparire il tutto come un’incidente. Ma la santa, che tutto sapeva, smascherò il diavolo, togliendogli la camicia che indossava e scagliandola contro un monte. La macchia bianca lasciata da questo gesto sulla montagna viene chiamata “cammisa d’u m’pisu”, ovvero camicia dell’appeso.

La provincia di Cosenza e la magara

Fiumefreddo Bruzio, provincia di Cosenza
Fiumefreddo Bruzio, provincia di Cosenza

A Tortora, in provincia di Cosenza, ma anche nelle altre cittadine di questo territorio, è molto nota la storia della magara della Gravusia. Si trattava di una strega che entrava nelle case, opprimendo il petto o la schiena delle persone. Per liberarsi bisognava afferrare i capelli della magara e quando lei avesse chiesto cosa fossero, bisognava rispondere “corde di acciaio che non si spezzano”.

Per evitare che entrasse nelle case, si ponevano fagioli o sassolini sull’uscio, dato che la magara non resisteva alla tentazione di contarli: un punto di contatto tra questa leggenda e quella delle streghe di Benevento, a dimostrazione che i topos leggendari sono diffusi in maniera simile in più luoghi.

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