Viken Berberian Come spezzare il circolo vizioso del terrorismo
10 Dicembre 2005 - 00:00«Quando vedo una linea diritta, mi viene subito voglia di piegarla». Viken Berberian è chiuso nel suo ufficio a New York city, seduto alla sua scrivania di una società dinvestimenti. Fuori dalla finestra, la neve scende piano. Viken Berberian è lì, ma è anche da unaltra parte, nel mondo «sacro e nobile» della letteratura: perché la vita, per lui che ama poco le righe, è un circolo, lo stesso che avvolge il protagonista de Il ciclista (minimum fax), il suo primo romanzo, che presenterà oggi a Roma, allEur, alla fiera delleditoria.
Lo sfondo è il Libano, e luomo in bicicletta è un kamikaze: deve far esplodere una bomba in un hotel di Beirut. Il circolo «è vizioso, il protagonista si sente come intrappolato»: nella missione, e nel destino, sotto forma di un incidente che lo paralizza in ospedale, fino al giorno dellattentato. «La struttura stessa del libro si oppone allidea di un progresso lineare. I capitoli, frammentati, si uniscono intorno a una sequenza fluttuante di temi, che si mescolano e si separano, per tornare, infine, a fondersi, fino alla fine, in cui cè il senso di un ritorno allinizio, di un ciclo». Come le ruote della bicicletta, che lo muovono verso lattentato, verso un compimento che, però, troverà ancora limprevedibile lungo la sua strada.
Lo stesso circolo intrappola il Berberian scrittore alla sua scrivania, nel suo «dorato gulag aziendale»: «La finanza, per me, non è un fine, ma un mezzo per poter scrivere. Tornare al lavoro è parte del ciclo, ma è anche una trappola. Cerco di sfuggire a questo circolo appena posso, per scrivere. Non è sempre facile».
Non è facile neppure per luomo, il narratore senza nome che, immobilizzato nel corpo, si muove con la mente fra i ricordi e i desideri: «Il cibo, lamore, la distruzione hanno una forza particolare nello stimolare i nostri sensi e per questo sono più facilmente oggetto della rappresentazione artistica». Ma larte è anche «arte di vivere e di invecchiare, arte di appassire e di morire». E cè anche unarte nella finanza, «i migliori affaristi non sono uomini dalla mente scientifica: coi calcoli sono come Picasso». Lui però non è un economista: non piega i calcoli diritti, rende irregolari i destini troppo lineari, interrompe il cammino scavando nella tensione, a partire da quella fra «il mondo dellastrazione e delle idee» e quello «pratico, materiale, del lavoro quotidiano». È il suo prossimo romanzo: la storia di un agente di borsa e una donna francese.
Wall Street, quindi, la terra dadozione, dopo il ritorno al luogo natale, al Libano. Ma nel suo romanzo lo sguardo è quello dellarmeno, «popolo transnazionale» e sua vera origine, con cui osserva il Medio oriente senza «la pretesa di pontificare o teorizzare». «Terrorismo non è una parola che utilizzo spesso nel libro, non è la fonte primaria dei suoi significati, dei piaceri e dei desideri che, in esso, entrano in conflitto».