Cinema

Da Wenders un film sul bene comune. "Il Giappone sa come difenderlo"

Nel pedinamento zavattiniano del protagonista, uomo abitudinario e semplice, emergono istantanee di vita quotidiana a Tokyo

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Ecco il film che tutti i nostri sindaci dovrebbero vedere. Si intitola Perfect Days, lo ha girato Wim Wenders in stato di grazia, e racconta di un uomo di mezza età che la mattina si sveglia e va al lavoro, che consiste nel pulire i cessi pubblici. Solo che siamo a Tokyo e i vespasiani sono dei gioielli architettonici molto rispettati dai cittadini. «Quando siamo tornati dalla pandemia nelle nostre strade - racconta il regista tedesco in collegamento con i giornalisti italiani - eravamo più chiusi in noi stessi. Per questo ho pensato che il bene comune fosse un argomento importante e ho colto l'occasione per fare un film al riguardo in Giappone, dove c'è un profondo rispetto e una cura della bellezza per i parchi, per le strade, per i bagni pubblici».

Perfect Days, in uscita nei nostri cinema il 4 gennaio, non fa altro che raccontare, in maniera ripetitiva e quasi ossessiva, la stessa vita quotidiana analogica del protagonista, in una città iperdigitale, che con il suo minivan e le sue care musicassette con la straordinaria musica, tra gli altri, dei Velvet Underground, di Van Morrison e di Lou Reed con la sua «Perfect Day», si reca in giro per la città a pulire i bagni. A pranzo scatta qualche foto in pellicola agli amati alberi, che pure coltiva nella sua umile casetta, e la sera mangia una cosa velocemente fuori per poi tornare a casa e leggere qualche riga di un romanzo di Faulkner, addormentatosi quasi subito. E così per tutta la durata del film.

L'aspetto straordinario di questo pedinamento zavattiniano all'ennesima potenza, oltre a invitarci «a una vita semplice e più lenta» che, secondo Wenders, ci salverà, è lo sguardo del protagonista, interpretato da una leggenda del cinema giapponese, Koji Yakusho, migliore attore allo scorso festival di Cannes, attraverso cui vediamo la descrizione dei particolari, degli incontri fortuiti, di un foglietto con il gioco tris da completare nascosto chissà da chi dietro a un water, di un canto per pochi intimi della proprietaria di un ristorante, la mano a un bambino smarrito in un bagno. E poi c'è tutto il cinema di Wenders con il cielo sotto Tokyo, l'omaggio all'amato Yasujir Ozu (il protagonista si chiama Hirayama come quello dell'ultimo film, Il gusto del sakè, del grande regista giapponese) e la scelta di non usare grandi mezzi registici.

«Abbiamo utilizzato molto la camera a mano con inquadrature ispirate al cinema muto o a vecchi film come Don Camillo e Peppone», dice il regista, sorpreso ma contento che il Giappone abbia indicato il suo lavoro come quello nazionale da proporre agli Oscar per la categoria dei film in lingua non inglese, dove c'è anche Io capitano di Matteo Garrone e il 21 sapremo chi ci sarà nella prima shortlist.

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