Nemmeno la Mosca anni '20 sopravvive al woke

L’insulto alla Storia non si giustifica nell’ottica della promozione di attori che appartengono a minoranze anzi è alla fine un insulto anche a loro che potrebbero essere utilizzati per raccontare storie, vere interessanti e che di minoranze parlano davvero

Nemmeno la Mosca anni '20 sopravvive al woke
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Siamo in Russia, dopo la Rivoluzione leninista che ha trucidato lo Zar. Corre l’anno 1922 per la precisione. Al ricco conte Alexander Rostov viene risparmiata fortunosamente l’esecuzione capitale da parte di un tribunale bolscevico per via di una sua illuminata poesia. Viene invece incredibilmente condannato a rimanere agli arresti domiciliari nell’Hotel Metropol di Mosca, dove già stava vivendo, senza possibilità di uscire dall’edificio. Gli vengono garantiti vitto e alloggio, ma è buttato in una stanzetta nel sottotetto con un letto e poco altro. Alexander, che per altro non ha mai lavorato un giorno in vita sua, ha solo i suoi pensieri e gli altri residenti dell’hotel come compagnia, mentre cerca uno scopo in questa sua strana vita. Così si avvicina a Nina, una ragazzina precoce con cui fa amicizia e a cui dà lezione «sull’arte di essere un principessa». E all’attrice Anna Urbanova, con cui ha una improbabile relazione.

Questa è la trama di Un Gentiluomo a Mosca, serie tratta dal bestseller internazionale (Neri Pozza) scritto da Amor Towles, e disponibile su Paramount+ (8 episodi di 50 minuti ciascuno). Il risultato è un prodotto surreale e divertentissimo grazie alla buona stoffa del romanzo di partenza e anche grazie all’interpretazione di Ewan McGregor che da vita al più surreale stralunato dei nobili Russi.

Poi c’è la sterzata surreale di cui potremmo anche fare a meno tra gli interpreti della serie c’è Feithi Balogun che interpreta il personaggio di un amico di Alexander Rostov: Mishka. Sia chiaro si tratta di un bravissimo attore, come chiunque può apprezzare in Dune ed in altre produzioni. Ma non c’è alcun motivo per cui nella mosca del 1922 debba esserci un personaggio di colore. A questo punto conta poco ormai. Siamo alla terza stagione di Bridgerton ormai che ci fa vedere l’Inghilterra dei primi anni dell’Ottocento come fosse uno dei luoghi della meglio riuscita integrazione razziale. E abbiamo già visto cape vichinghe di colore, la Regina Cleopatra, di origini macedoni, trasformata in una regina nubiana. Il tutto per mal gestiti concetti di inclusione, da cui non si riesce più a sfuggire. Che poi l’inclusione, capiamola. Fare una serie sui faraoni di origine nubiana sarebbe stato storicamente interessantissimo. Invece quell’inclusione lì quella che prende in esame altre storie non scontate non decolla mai. Avete mai sentito parlare di Toussaint Loverture il “napoleone nero”? Probabilmente no anche se è stato un personaggio fondamentale nell’emancipazione degli schiavi africani ad Haiti. Ma in questo caso solo serie scalcinate o biophic così così.

Quindi inutile dire che l’insulto alla Storia non si giustifica nell’ottica della promozione di attori che appartengono a minoranze anzi è alla fine un insulto anche a loro che potrebbero essere utilizzati per raccontare storie, vere interessanti e che di minoranze parlano davvero. Ma tant’è non sarà qualche articolo a cambiare quella che è ormai una scelta internazionale consolidata. E quindi non resta che tenersi una Mosca anni Venti che ricorda una Chicago anni Venti.

Poi capita che l’intelligenza artificiale quando le si chiede di rappresentare delle SS le rappresenti di colore e donne.
Quando capita si può ringraziare la cultura woke che vuole eguagliare e rimuovere. Non ci resta che aspettare quando una serie sugli Zulu verrà riempita di attori bianchi per par condicio.

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