Caro onorevole Angelino Alfano, scrivo a lei perché è il capo del Pdl, il partito cardine della coalizione di governo, inoltre perché è nota la sua formazione e educazione cattolica. Penso quindi sia sensibile al problema che intendo sottoporle. Si tratta degli asili che, come saprà, nacquero in Lombardia, precisamente a Mantova, Cremona e Bergamo su iniziativa dei preti, che a me sono antipatici (sono agnostico, non dico ateo, altrimenti i lettori mi sgridano), ma ai quali bisogna pur riconoscere molti meriti, soprattutto quello di fare ciò che lo Stato non sa fare a sostegno della famiglia.
Ora gli asili li chiamano in modo diverso:
scuola materna o d’infanzia; ma la loro funzione è sempre la stessa.
L’unica novità sostanziale è che l’esperimento lombardo, avendo avuto
successo negli anni, è stato esteso all’Italia intera: l’educazione
dei bambini dai 3 ai 6 anni è entrata nella routine e nella tradizione.
E non vi provvedono più soltanto i religiosi (i privati in genere)
ma anche lo Stato. Il quale gestisce il 43 per cento circa degli ex
asili. Pochi comunque in confronto a quelli affidati alle associazioni
cattoliche, il 57 per cento.
È proprio di questo, caro onorevole,
che desidero parlarle. Deve sapere che, a grandi linee, un bambino
iscritto alla materna pubblica costa all’amministrazione statale
circa 6.000 euro l’anno. Mentre fino a un anno fa un bambino accolto in una struttura
privata comportava per la medesima amministrazione l'irrisoria spesa di
circa 500 euro l’anno, versati sotto forma di contributo. Fatti due
conti, la gestione privata costava un dodicesimo rispetto a quella
pubblica.
Perché una simile sproporzione a parità di servizi
erogati? Semplice. Lo Stato paga a piè di lista ogni spesa: personale
dipendente, materiale didattico, manutenzione degli stabili eccetera.
Mentre i preti e i loro collaboratori sono oculati
e parsimoniosi per forza di cose: puntano sul volontariato (ad esempio
per le pulizie e le riparazioni), sui lasciti, sulle generose
elargizioni di cittadini e parrocchiani.L’onere principale è costituito
dagli stipendi alle maestre. Ecco giustificata la differenza enorme
che si riscontra tra i bilanci del pubblico e quelli del privato.
Anche un allocco comprende: allo Stato non conviene gestire
direttamente la scuola materna; ha tutto l’interesse a delegare il
delicato e fondamentale compito alle associazioni religiose o
parareligiose. Nonostante questo, cioè nonostante l'evidenza, il governo quest’anno ha avuto la brillante idea di ridurre il contributo ai privati da 500 euro
l’anno a 250.Le pare una cosa equa e intelligente? Per me è
un’idiozia,nel senso che la decurtazione penalizza chi lavora meglio e
a costi sociali nettamente più bassi, e fa risparmiare poco o nulla al
governo.Il quale,infatti,continua imperterrito a sborsare 6.000 euro
annui per tenere in piedi le strutture pubbliche.
Senza contare che, mortificando suore e parroci con un taglio di queste proporzioni, si rischia di far fallire tanti asili
di piccoli Comuni privi di altre adeguate risorse per tirare avanti e
fornire ai bimbi il minimo indispensabile. È vero che i genitori pagano
le rette, ma si tratta di cifre esigue. In ogni caso, se la retta la
pagano loro, non la paga lo Stato.
E allora mi spiega quale sia la ratio che ha spinto il governo ad adottare un provvedimento così scriteriato e autolesivo?
Mi auguro, caro onorevole Alfano, che alla luce delle presenti
informazioni, lei si adoperi per porre fine a questa assurdità. Di cui
fanno le spese tutti i connazionali.
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